Affettività nel discorso ambientale
Affettività nel discorso ambientale

Affettività nel discorso ambientale

Affettività nel discorso ambientale

Tre appuntamenti, tre settimane per entrare nel dibattito ambientale analizzato sotto la lente della psicologia.

Episodio 3
: Affettività nel discorso ambientale

Per concludere la discussione su come gli insights dell’economia comportamentale possano informare il discorso sul cambiamento climatico, il focus di questo articolo sarà sull’affettività, mettendo in evidenza bias difficili da riconoscere e modificare. Per quanto possiamo sforzarci, infatti, nessuna delle decisioni che prendiamo è il risultato di un calcolo freddo e razionale dei pro e dei contro: se così fosse, il mercato del tabacco sarebbe al collasso, quello dei preservativi mai così alto e, sicuramente, non sarebbe necessario scrivere articoli per cercare di sensibilizzare il pubblico sulla necessità di agire ora per evitare gli esiti devastanti del cambiamento climatico.

La doppia dimensione dell’affettività

Le emozioni non sono tutte uguali, e la maniera in cui sono state categorizzate negli ultimi anni non è mai stata univoca. C’è accordo, tuttavia, che esse possano essere caratterizzate in base a due dimensioni: arousal, cioè la “forza” con cui un’emozione si presenta, e valenza, ovvero se il contenuto dell’emozione è positivo o negativo. La rabbia, ad esempio, è generalmente un’emozione con alti livelli di arousal e alto contenuto negativo. Invece, la tristezza presenta sì un contenuto altrettanto negativo, ma con bassi livelli di arousal. Inoltre, alcuni autori hanno proposto di considerare due “sottolivelli” di arousal, uno positivo per le emozioni che hanno alti livelli di attivazione e valenza positiva – come l’eccitazione, e uno negativo per quelle emozioni che hanno alti livelli di attivazione, ma una connotazione negativa – come la già citata rabbia o l’ansia.

A livello cerebrale, informazioni che possono guidare le decisioni, ma che hanno livelli di arousal negativi o positivi sono processati in aree diverse: il primo tipo si appoggia sull’attività dell’insula anteriore, mentre il secondo tipo è correlato all’attivazione dello striato, in particolare del nucleus accumbens. Accanto a ciò, va ricordato il ruolo che gioca la corteccia prefrontale mediale, un’area superiore del cervello coinvolta in processi più “riflessivi”.

Come si traducono questi meccanismi nella questione del decision-making?

Nel calcolo dei costi e dei benefici, ogni informazione utile per prendere una decisione include necessariamente una dimensione affettiva. Ad esempio, sapere che il fumo di sigaretta è correlato ad un aumento del rischio di sviluppare il cancro ai polmoni è sì un’informazione che “guida”, in un certo senso, la scelta di cominciare o smettere di fumare. Al contempo, il suo contenuto negativo e alto arousal la rendono in qualche modo differente. Il problema sorge, tuttavia, quando l’informazione è “troppo negativa”: in quel caso, infatti, possiamo essere portati ad ignorarla. Ecco perché i pacchetti di sigarette che presentano immagini negative legate al fumo non sempre sono così efficaci a far cambiare stile di vita ai fumatori. Se questi messaggi non vengono fiancheggiati da narrazioni positive, come per esempio da campagne che mettono in evidenza i benefici dell’essere un non fumatore, l’individuo potrebbe finire per “smettere di prestare attenzione” a quanto viene mostrato sul pacchetto, annullando di fatto l’effetto voluto.

Affettività e comportamenti responsabili

Alla luce di quanto è stato analizzato fino ad ora, la mole di informazioni che riceviamo in merito agli effetti del cambiamento climatico antropogenico può considerarsi un’arma a doppio taglio. Da un lato, le immagini relative allo scioglimento dei ghiacci, la distruzione della foresta amazzonica per lasciar posto a coltivazioni di palme da olio, o la morte delle barriere coralline e di tutto l’ecosistema marino che esse sostengono rischiano di non essere così efficaci come vorremmo, proprio perché convogliano emozioni particolarmente negative che potrebbero venire ignorate. Dall’altro, alcuni studi sembrano suggerire che il discorso del riscaldamento globale potrebbe costituire un caso particolare.

Una ricerca di Stanford del 2015 ha evidenziato che l’attività dell’insula anteriore scaturita dalla presentazione di immagini in cui alcuni parchi naturali venivano distrutti poteva predire l’aumento di donazioni volte a preservare i detti parchi. Questi risultati si contrappongono ad altri studi in cui gli investigatori hanno cercato di correlare l’attivazione delle aree striate, in particolare del nucleus accumbens, alla volontà di fare donazioni per l’ambiente.

Sembra, quindi, che non sia sufficiente focalizzarsi solo su narrazioni positive per produrre un cambiamento nell’atteggiamento degli individui rispetto alla questione climatica. Al contrario, accompagnarle con campagne che elicitino i sentimenti negativi, che facciano “toccare con mano” quello che sta accadendo a tante persone e specie in ogni parte del mondo può produrre davvero il cambiamento di cui abbiamo tanto bisogno.

Editing e fact checking a cura di Alice Spada