L’Artide tra interessi geopolitici e cambiamenti climatici
L’Artide tra interessi geopolitici e cambiamenti climatici

L’Artide tra interessi geopolitici e cambiamenti climatici

L’Artide tra interessi geopolitici e cambiamenti climatici

L’Artide, zona geografica composta dalla calotta artica, dalla banchisa artica e dal Mar Glaciale Artico, è probabilmente la regione del nostro pianeta più esposta ai danni dovuti ai cambiamenti climatici e attualmente più contesa dagli Stati limitrofi per interessi geopolitici ed economici. È composta prevalentemente da ghiacci e acqua, ma comprende alcune zone di Europa, Asia e America del Nord, ed è abitata da circa quattro milioni di persone, divise in due popolazioni: gli Inuit, originari della zona compresa tra le coste artiche e sub-artiche dell’America del Nord e la punta nord-orientale della Siberia, e gli Yupik, che popolano l’Alaska centrale.

Al contrario dell’Antartide, che dal 1959 possiede lo status giuridico di riserva naturale dedicata alla pace e alla scienza, l’Artide non ha un regime giuridico al quale fare riferimento per risolvere controversie e amministrare la zona geografica. Si fa quindi riferimento alle norme pertinenti di diritto internazionale, in particolare all’UNCLOS, la Convenzione delle Nazioni Unite sul Diritto del Mare firmata a Montego Bay nel 1982.

Per discutere le controversie degli Stati artici e delle popolazioni indigene coinvolte è stato istituito nel 1996 il Consiglio Artico, un organo consultivo al quale partecipano Canada, Danimarca, Finlandia, Islanda, Norvegia, Federazione Russa, Svezia e Stati Uniti d’America, con l’aggiunta di alcuni Stati osservatori, tra cui l’Italia.

Cosa comportano i cambiamenti climatici nell’Artide?

Gli effetti dei cambiamenti climatici sull’Artide sono oggetto di discussione della COP26 aperta a Glasgow lo scorso 31 ottobre: secondo i report della National Oceanic and Atmospheric Administration, l’Artico si starebbe riscaldando a velocità doppia rispetto al resto del nostro Pianeta. Infatti, mentre nel periodo tra il 1971 al 2019 la temperatura terrestre è salita di un grado, la temperatura della zona artica è aumentata di 3,1 gradi centigradi.

Secondo le stime dei ricercatori, il mutamento più radicale della situazione climatica dell’Artide è stato raggiunto nel 2004. A testimoniarlo, secondo il glaciologo Jason Box, sono gli «episodi di caldo durante l’inverno, sempre più numerosi e lunghi, con masse d’aria caldissime che entrano nella regione soprattutto durante i periodi di formazione del ghiaccio, tra ottobre e maggio», insieme al calore liberato degli oceani, sempre più privi di ghiacci e quindi non in grado di proteggere la zona.

Uno dei segnali più evidenti della disastrosa situazione in cui versa l’artico è il dato che proviene dalla perdita di volume della banchisa artica: dal 1980 ha perso il 75% del suo volume. La glaciologa Alexandra Messireli ha definito i ghiacciai dell’Artico «un termometro del globo», in quanto ciò che accade nella regione artica è ciò che ci si deve aspettare accada nelle altre zone del nostro Pianeta. I rischi dovuti ai rapidi cambiamenti della regione artica riguardano infatti il globo nella sua interezza: l’innalzamento del livello dei mari, le nuove categorie di migranti climatici provenienti dalle propagini artiche di Europa, Asia e Nord America, la scomparsa di molti habitat naturali e dunque la riduzione della biodiversità sono solo alcune delle tante conseguenze che lo scioglimento dei ghiacci comporta.

Durante le prime giornate della COP26 di Glasgow è stato proposto di piantare mille miliardi di alberi entro il 2030 per implementare significativamente il processo di assorbimento e quindi di riduzione della CO2 a livello planetario. Come sottolineano i ricercatori, per la zona artica questa misura potrebbe non bastare: la riduzione del volume della banchisa artica e lo scioglimento dei ghiacci polari potrebbero continuare per un periodo più o meno definito anche dopo la stabilizzazione delle temperature terrestri.

L’ “Arctic Scramble”

A causa dei rapidi cambiamenti dell’habitat artico, negli ultimi anni è aumentato esponenzialmente l’interesse geopolitico e strategico sulla zona, definito “Arctic Scramble, non solo una corsa alle risorse presenti sui fondali del Mar Glaciale Artico. Il ritrovato interesse per la zona ha aperto diverse dispute tra le nazioni del Consiglio Artico, ma non solo: ad essi si è aggiunta infatti la Cina, volenterosa di sfruttare le nuove rotte create con lo scioglimento dei ghiacci artici per espandere la sua Silk Road a nord.

L’innalzamento delle temperature e il conseguente scioglimento di enormi porzioni di ghiacci polari, ha consentito infatti la creazione di nuove rotte per attraversare l’Artico, oggetto di interesse economico e strategico per le nazioni che vi si affacciano, e l’accorciamento di rotte già esistenti, come quella tra Europa e Asia che secondo le stime si sarebbe ridotta del 40%. Un ulteriore incentivo alle controversie tra nazioni per il controllo dell’Artico sono le ricerche condotte nel corso dello scorso decennio dallo United States Geological Survey, che ha stimato la presenza nell’Artide del 13% del petrolio, il 30% del gas convenzionale e il 20% di gas liquido non ancora scoperti.

A seguito delle stime di petrolio e gas potenzialmente presenti nell’Artico, il quadro normativo dell’UNCLOS e la cooperazione multilaterale tra gli Stati del Consiglio Artico potrebbero essere ormai obsoleti per un’efficace regolamentazione della zona. Secondo il Parlamento europeo, un maggiore controllo dell’Artide, unito ad un incremento della partecipazione europea alle attività nella zona, sarebbe vitale per la sicurezza comunitaria.

L’Unione europea, durante lo scorso decennio, ha infatti proposto la creazione di un nuovo regime giuridico sotto forma di Trattato internazionale volto alla protezione dell’Artico, mentre il Consiglio Artico, legato alla giurisdizione più “libera” dell’UNCLOS, si è limitato a sollecitare una miglior applicazione delle norme già esistenti. L’accesso e l’esplorazione dell’Artico sono questioni attuali ed inevitabili anche a causa dei cambiamenti climatici che modificano la zona di giorno in giorno, ma ad oggi non è stato ancora trovato un punto d’incontro tra le richieste degli Arctic five e quelle dell’UE.

A causa della spietata “corsa all’oro” nel Mar Glaciale Artico, è inevitabile quindi che si creino incidenti diplomatici tra gli Stati che confinano con la regione artica, tra chi reclama l’estensione del proprio territorio e chi, invece, vorrebbe mantenere alcune zone dell’Artico svincolate dalla giurisdizione degli Stati.