La COP26: obiettivi, sfide e protagonisti
La COP26: obiettivi, sfide e protagonisti

La COP26: obiettivi, sfide e protagonisti

La COP26: obiettivi, sfide e protagonisti

Di Valeria Dandrea, Ilaria Sacco e Francesco Tabarrini

La COP26, la Conferenza sui cambiamenti climatici delle Nazioni Unite, è il summit più atteso e più importante dell’anno (forse anche più del G20 di Roma). Si tratta di un incontro decisivo per il destino e le speranze del Pianeta forse anche più della COP21 di Parigi dell’ormai lontanissimo 2015.

Gli obiettivi

Il summit si tiene a Glasgow (il cui antico significato sarebbe già un programma: “piccola valle verde”) indicativamente dal 31 ottobre al 12 novembre e sarà presieduto dalla Gran Bretagna in partenariato con l’Italia. I due Paesi sono già stati protagonisti rispettivamente del G7 e del G20 e si apprestano ora a condurre i lavori della 26esima Conferenza delle Parti sui Cambiamenti Climatici ONU.

Si tratta di un evento decisivo i cui obiettivi possono essere riassunti in quattro macrotematiche: 

  1. Mitigazione: azzerare le emissioni nette a livello globale entro il 2050 e puntare a limitare l’aumento delle temperature a 1,5°C, accelerando il processo di fuoriuscita dal carbone, riducendo la deforestazione, accelerando la transizione verso i veicoli elettrici e incoraggiando gli investimenti nelle rinnovabili.

  2. Adattamento: adattarsi per la salvaguardia delle comunità e degli habitat naturali perchè il clima sta già cambiando e continuerà a cambiare provocando effetti devastanti anche riducendo le emissioni. È necessario dunque  proteggere e ripristinare gli ecosistemi e costruire difese, sistemi di allerta, infrastrutture e agricolture più resilienti per contrastare la perdita di abitazioni, mezzi di sussistenza e persino di vite umane.

  3. Finanziamento: per raggiungere i primi due obiettivi, i Paesi sviluppati devono mantenere la loro promessa di mobilitare almeno 100 miliardi di dollari l’anno in finanziamenti per il clima entro il 2021. 

  4. Collaborazione: lavorare tutti assieme per affrontare le sfide della crisi climatica e in particolare per finalizzare il “Libro delle Regole” di Parigi (le regole dettagliate necessarie per rendere pienamente operativo l’Accordo di Parigi) e accelerare le attività volte ad affrontare la crisi climatica rafforzando la collaborazione tra i governi, le imprese e la società civile.

Rischi e speranze

Nonostante gli impegni in programma e gli ambiziosi obiettivi, le aspettative nei confronti di questo evento rischiano però di essere mal riposte, in quanto il rischio concreto è che ai vari dibattiti possa, ancora una volta, non seguire un’azione congiunta e concreta da parte degli Stati. La crisi, come evidenziato dal report dell’IPCC, è sotto gli occhi di tutti ormai, pertanto occorre che anche sul piano politico vengano attuati piani sul lungo termine in grado di non compromettere la nostra esistenza sul Pianeta Terra. Raggiungere quest’obiettivo, però, è tutt’altro che semplice, in quanto richiede una totale revisione e messa in discussione di paradigmi ben radicati soprattutto da parte di quegli Stati che, nel corso della storia passata e più recente, hanno contribuito in maniera preponderante ad accelerare la crisi climatica.

Gli osservati speciali della Conferenza

Attualmente,  i “peggiori della classe” nel contrasto alla crisi climatica risultano Cina, Stati Uniti, Unione europea (se considerata come un unico blocco), India e Russia. Un’analisi aggiornata di Carbon Brief, invece, esamina la responsabilità storica di ogni Paese per le emissioni di CO2 dal 1850 al 2021: in poche parole, lo studio illustra chi sono i principali responsabili del climate change a livello storico.

Stati Uniti

Il primo posto di questa classifica spetta agli Stati Uniti che dal 1850 ad oggi sono i responsabili della maggior quantità di emissioni di CO2, con oltre il 20% del totale globale. Come si presentano dunque gli USA alla COP26? 

Nonostante la grande retorica di Biden sulla crisi climatica – iniziata dal primo giorno della sua Amministrazione con la decisione di rientrare nell’Accordo di Parigi – definita più volte una “minaccia esistenziale”, il Presidente USA vive questo momento tra grandi difficoltà. Nonostante sperasse di presentarsi alla COP26 con una legislazione volta a ridurre le emissioni di gas serra del 50-52% entro il 2030 rispetto ai livelli del 2005, tale pacchetto di provvedimenti è ancora fermo al Congresso. 

Tra le questioni che non hanno permesso al Presidente americano di recarsi a Glasgow con qualcosa di “concreto” tra le mani troviamo, ad esempio,  gli ostacoli posti al piano per incentivare i produttori ad aumentare la quota di energia dalle rinnovabili e alla penalizzazione per il metano liberato dagli impianti petroliferi o alimentati a carbone. Inoltre ha sollevato un aspro dibattito anche la modalità di finanziamento della manovra: si parla di 1.700-1.800 miliardi di investimento “approvabili” dal Senato rispetto ai 3.500 miliardi chiesti dalla Casa Bianca. 

Questo stop rischia di minare la credibilità di Biden e conseguentemente la sua volontà di imporre gli USA come leader mondiale anche a livello climatico a Glasgow. Va sottolineato, poi, come l’inviato statunitense per il clima John Kerry abbia viaggiato nelle scorse settimane per tutto il mondo, con l’obiettivo di spingere altre nazioni a fissare obiettivi ambiziosi per ridurre le loro emissioni. Tutto ciò è avvenuto senza che il Congresso americano avesse approvato la sua legge.

Cina

Al secondo posto della classifica sulle emissioni storiche, troviamo la Cina. Nonostante Pechino sia attualmente considerato il principale ostacolo per la svolta verde mondiale, a livello di emissioni storiche si trova abbastanza lontano dagli USA: 11% delle emissioni storiche sono cinesi, contro il 20% di quelle americane. 

Tuttavia, le pressioni internazionali vengono tutte esercitate su Pechino che è divenuto oggi il principale responsabile delle emissioni di CO2 nel mondo con circa il 28% delle emissioni globali prodotto. A tal proposito, il piano nazionale appena presentato dalla Cina non risulta essere soddisfacente. Pubblicato pochi giorni prima della COP di Glasgow, presenta pochissimi progressi rispetto alle ambizioni annunciate.

La Cina prevede che nel 2030 ci sarà il picco di emissioni, per arrivare, da quel punto in poi, nel 2060 all’obiettivo di zero emissioni nette. Ma sono parole che nonostante tutto preoccupano perché la Cina, ad oggi, è ancora fortemente dipendente dal carbone, anche della qualità più inquinanti. Durante la COP26 tutti gli occhi saranno puntati dunque sulla Cina, nonostante il suo leader, Xi Jinping, non parteciperà di persona all’evento.

Russia

La Russia è il terzo Stato storicamente più responsabile della crisi climatica e, se non si calcola l’UE come un blocco unico, è ad oggi al quarto posto per emissioni di CO2. La Russia si presenta alla COP26 con promesse sicuramente insufficienti e Vladimir Putin ha già annunciato che, come il suo omologo cinese, non parteciperà alla conferenza di Glasgow. Il Cremlino, ancora dipendente dalle fossili e tra i maggiori esportatori, ha dichiarato di voler procedere attraverso una transizione verde che sia però equilibrata e non avventata.

Unione europea

Chi invece parteciperà alla COP26 con l’etichetta di leader globale, è sicuramente l’Unione europea. Nonostante l’UE risulti uno dei massimi responsabili di emissione di CO2, è altrettanto vero che le istituzioni europee sono riuscite ad imporsi come uno dei principali attori nel contrasto alla crisi climatica. Proprio prima di recarsi a Roma per partecipare al summit annuale del G20 –fondamentale in quanto le 20 economie che ne fanno parte rappresentano l’80% delle emissioni mondiali- la Presidente della Commissione von der Leyen ha sottolineato l’impegno europeo per il clima, che sarà rafforzato attraverso la partecipazione dell’UE a varie iniziative durante la COP26: dal metano, alla protezione delle foreste, a una partnership per una transizione energetica giusta con altri Paesi in via di sviluppo. 

L’unione fa la forza, sempre

Infine, delineate giustamente le responsabilità maggiori, va detto che i cambiamenti climatici, nonché la Terra nel suo insieme, sono totalmente slegati dalle questioni geopolitiche; che l’umanità sia compatta o meno, al pianeta poco importa. Gli uomini si sono tuttavia evoluti secondo modalità tutt’altro che in armonia con i cicli naturali, specialmente a partire dalla Rivoluzione industriale, in cui l’inquinamento ha gradualmente cominciato ad avvelenare tanto noi stessi quanto la natura e i suoi ecosistemi. La COP26 è un evento chiave in cui l’umanità si gioca il tutto per tutto, e grazie alla quale si comprenderà se essa sia pronta ad affrontare in modo compatto una minaccia che rischia di condurci verso l’estinzione.