I vertici del G20 a Napoli e l’accordo parziale sul clima
I vertici del G20 a Napoli e l’accordo parziale sul clima

I vertici del G20 a Napoli e l’accordo parziale sul clima

I vertici del G20 a Napoli e l’accordo parziale sul clima

I disastri naturali delle ultime settimane (altissime temperature, inondazioni e incendi in più parti del globo) fanno emergere degli interrogativi su come i leader mondiali vogliano comportarsi e cosa abbiano intenzione di fare riguardo il contrasto al cambiamento climatico. I vertici del G20 di Napoli dei giorni scorsi rappresentavano un’occasione per dare una risposta concreta ai fenomeni legati al riscaldamento globale ma la negoziazione si è rivelata molto travagliata e i risultati in parte deludenti.

I negoziati del G20 Ambiente

Il G20 è un forum di cooperazione internazionale composto da 19 Paesi e dall’Unione europea che rappresenta l’80% del PIL mondiale e il 60% della popolazione. La presidenza di quest’anno è stata assegnata all’Italia che ha schierato, durante gli incontri di luglio dedicati ai dossier Clima e Ambiente, come supporto del Ministero della Transizione Ecologica, anche tre esperti di ISPRA (Istituto superiore per la protezione e la ricerca ambientale) che hanno partecipato alla riunione per la preparazione dell’accordo su clima ed energia, con l’obiettivo di fornire un importante contribuito all’elaborazione del patto.

Dopo due giorni di intensa discussione, è stato firmato un documento finale su clima ed energia che, seppur non stravolgendo completamente l’Accordo di Parigi, rimanda il dibattito su questioni molto importanti (se non urgenti) come la decarbonizzazione e il mantenimento delle temperature, alla Conferenza delle Parti a Glasgow (COP26) che si terrà il prossimo novembre. Il documento contiene quindi non più 60 articoli ma 58 e ha visto la modifica anche del riferimento al termine del 2030, a cui è stato preferita l’espressione “entro questa decade”. L’accordo è stato dunque definito “parziale”, in quanto non ha soddisfatto appieno le aspettative dell’incontro.

Durante il negoziato, l’opposizione agli impegni più stringenti derivanti dall’accordo è arrivata dai Paesi BRICS, ovvero quegli Stati emergenti che dipendono maggiormente dagli idrocarburi per la loro ulteriore crescita economica, e in particolare dall’India. Solo il sopraggiunto assenso della Cina ha permesso l’approvazione del documento finale. Quello che risulta evidente è, dunque, l’esistenza di una contrapposizione tra Paesi già sviluppati (come Canada, Usa ed Europa) e quelli in via di sviluppo, che non condividono essenzialmente le tempistiche della transizione ecologica. D’altra parte, i primi sono stati i maggiori responsabili della situazione disastrosa che vediamo noi oggi. Nel mezzo restano, infine, i Paesi più poveri e fragili, quelli che inquinano meno e che paradossalmente hanno subito fino ad ora le conseguenze più violente del cambiamento climatico, anche se, negli ultimi tempi, sta risultando sempre più chiaro quanto l’emergenza climatica sia in grado di colpire anche il Nord del mondo.

Punti da affrontare a Glasgow

Il ministro della Transizione Ecologica Roberto Cingolani- che ha collaborato a stretto giro con l’inviato speciale americano per il clima John Kerry per sbloccare il negoziato- si dice comunque soddisfatto dell’esito dei meeting, poiché avrebbero portato al riconoscimento da parte del G20 dell’interconnessione tra clima, ambiente, energia e povertà, pienamente riconosciuta già dalle Nazioni Unite. Oltre alle problematiche estratte dal documento, a Glasgow dovrà essere deciso anche il finanziamento dell’azione a contrasto del climate change; più in particolare dovrà essere confermato l’obiettivo dei 100 miliardi di dollari che i Paesi ricchi si sono impegnati a versare ai più vulnerabili ma che al momento non è ancora stato raggiunto.

La COP26 si svolgerà nella città scozzese dal 31 ottobre al 12 novembre: un appuntamento cruciale per discutere dei progetti di attuazione dell’Accordo di Parigi, adottato dalla COP21 nel 2015. Il vertice, inoltre, vedrà il ritorno degli Stati Uniti nell’intesa, dopo il ritiro voluto dall’ex presidente Donald Trump. La presenza e l’impegno dell’amministrazione americana potrebbe rivelarsi un fattore importante per stimolare la comunità internazionale ad agire in maniera più risoluta.

Intanto però la segretaria generale dell’Accordo Quadro sui Cambiamenti Climatici Patricia Espinosa ha ricordato che «Il G20 pesa per l’80% su tutte le emissioni globali»; non esiste, dunque, una via percorribile verso il mantenimento della temperatura entro 1,5°C senza il preliminare accordo in sede G20. Bisogna agire già da ora.