Economia ambientale e ruolo dell’incertezza
Tre appuntamenti, tre settimane per entrare nel dibattito ambientale analizzato sotto la lente della psicologia.
Episodio 1: Economia ambientale e ruolo dell’incertezza
Nel dibattito che ha finora accompagnato la COP26 di Glasgow, il potente intervento del celebre naturalista britannico 95enne David Attenborough è passato un po’ in sordina. Quello di Sir Attenborough è stato l’ultimo appello di un documentarista che, in oltre cinquant’anni di carriera, ha toccato con mano gli effetti devastanti del cambiamento climatico e messo a fuoco la portata delle decisioni individuali nel dibattito sul riscaldamento globale. «È così che la nostra storia dovrebbe finire?», riflette Sir Attenborough. «Il racconto della specie più intelligente condannata da quella caratteristica di essere così umani da non riuscire a vedere il quadro più ampio nel perseguimento di obiettivi a breve termine».
Economia comportamentale nel contesto del cambiamento climatico
Toccare la questione del cambiamento climatico da un punto di vista psicologico è un compito stimolante e delicato allo stesso tempo. Va riconosciuta, ad esempio, la parzialità dell’approccio, che non considera certamente alcuni degli aspetti principali della riflessione, quali quelli geopolitici ed economici. A questo livello, il focus è sulla dimensione individuale, sulle scelte personali che ognuno di noi mette in atto quando c’è da decidere se comportarsi in maniera sostenibile oppure scegliere quella che è, nella maggior parte dei casi, la strada più facile – come, ad esempio, decidere di usare jet privati ad altissime emissioni di carbonio proprio per attendere alle conferenze sul clima.
Da anni il campo dell’economia comportamentale, e più recentemente quello della neuroeconomia, si stanno adoperando per capire in che maniera il modo in cui gli individui rispondono ai rischi ambientali è mediato da come minacce e perdite siano elaborate a livello decisionale. In questo senso, il discorso sul cambiamento climatico viene analizzato nell’ottica dei processi di decision-making: mettere in pratica un comportamento sostenibile non è altro che una scelta che prendiamo, soppesando i pro e i contro e valutando i possibili risultati.
Quello che Sir Attenborough ha magnificamente evidenziato nel suo discorso, però, è il problema più rilevante che emerge quando le decisioni prese riguardano il cambiamento climatico: siamo «così umani» che, nonostante i ripetuti appelli degli scienziati, facciamo fatica a mettere in atto delle risposte efficaci.
Leggere il cambiamento climatico attraverso lo studio del comportamento umano ha permesso di mettere in luce che cosa c’è dietro l’apparente mancanza di preoccupazione in merito ai rischi ad esso legati: tendenzialmente, gli individui assegnano la priorità a quei rischi che vengono percepiti come spazialmente, temporalmente e affettivamente vicini, e come certi.
Sfortunatamente per il pianeta Terra – e per tutte le specie che lo abitano – per molte persone «il cambiamento climatico appare ancora come una minaccia remota nello spazio e nel tempo, e la portata e la natura dei suoi impatti su di esse rimangono poco chiari».
Rispondere efficacemente al cambiamento climatico: il ruolo dell’incertezza nell’economia ambientale
Studi sui processi decisionali hanno evidenziato che, generalmente, le persone preferiscono scommettere su rischi dove le probabilità del risultato sono certe, piuttosto che scommettere dove le probabilità di un risultato avverso non sono chiare. I rischi considerati, qui, sono differenti e prendono il nome, rispettivamente, di probabilistic risk e ambiguous risk.
I processi decisionali che portano alla scelta del rischio su cui scommettere, inoltre, si appoggiano su due substrati neurali differenti: da un lato, il probabilistic risk è calcolato mediante l’attivazione delle strutture dello striato, che diversi studi hanno dimostrato coinvolto in processi di spinta motivazionale; dall’altro lato, invece, se un rischio è caratterizzato come ambiguous, le strutture attivate sono l’amigdala e la corteccia orbitofrontale, generalmente associate a processi emotivi di paura e ansia.
Nel discorso sul cambiamento climatico, se le probabilità degli effetti negativi ad esso associati non sono percepite come certe e chiare, e se quindi non si tratta più di scommettere su un probabilistic risk ma su un ambiguous risk, allora la scarsa attivazione dello striato può, almeno in parte, spiegare come mai sia così difficile impegnarsi nell’attuazione di comportamenti responsabili e sostenibili.
Editing e fact checking a cura di Alice Spada