“Zan, Zendegi, Azadi”: la Rivoluzione delle donne in Iran
“Zan, Zendegi, Azadi”: la Rivoluzione delle donne in Iran

“Zan, Zendegi, Azadi”: la Rivoluzione delle donne in Iran

“Zan, Zendegi, Azadi”: la Rivoluzione delle donne in Iran

C’è una ragazza in mezzo alla strada. Viene ripresa da un qualcuno, probabilmente con un telefono. È vestita di nero, girata di spalle e si sta legando i capelli biondi in una coda. Un gesto normale, quasi banale, che viene compiuto da migliaia di ragazze quotidianamente più volte al giorno. Un gesto che in Iran assume un significato rivoluzionario. Hadith Najafi, così si chiama la protagonista del video, ha 20 anni e si sta preparando ad andare ad una manifestazione di protesta in una città vicino Teheran. Si trova in un luogo pubblico senza velo e si lega i capelli per evitare che le finiscano davanti alla faccia nel momento in cui dovrà affrontare le forze di polizia. Hadith Najafi aveva 20 anni ed è stata uccisa da sei proiettili nella città di Karaj. Era scesa in strada per lottare per un proprio diritto: il diritto di poter scegliere. Come lei centinaia di donne iraniane. 

La protesta delle donne 

In Iran le proteste sono iniziate il 16 settembre. La scintilla è stata la morte di una ragazza di 22 anni, arrestata dalla polizia morale iraniana con l’accusa di aver indossato male lo hijab. Masha Amini si stava dirigendo assieme alla sua famiglia a Teheran quando è stata fermata dalle forze dell’ordine. A quanto pare una ciocca di capelli le era sfuggita dal velo. La ragazza era poi stata trasportata in una stazione della polizia, dove le riprese interne la mostrano mentre ha un collasso improvviso. Portata d’urgenza all’ospedale Kasra a Teheran, ha trascorso gli ultimi giorni in coma prima di spegnersi. Le autorità hanno dichiarato che il decesso è dovuto ad un attacco cardiaco avvenuto mentre era in custodia della polizia. Questa tesi viene ritenuta poco credibile e gli stessi familiari affermano che Masha era una ragazza in perfetta salute. L’ipotesi più probabile è che abbia avuto un malore in seguito ai maltrattamenti ricevuti dagli agenti della polizia morale, una supposizione che sembra essere confermata da alcuni testimoni.

Questo episodio ha fatto scattare un incendio che sta divampando in tutto il Paese. Da Teheran e dalla regione del Kurdistan le manifestazioni si sono diffuse fino ad arrivare alla città santa di Qom, caposaldo delle forze conservatrici. Le protagoniste della protesta sono principalmente giovani donne che si recano a manifestare contro la coercizione di un regime che le vuole sempre più oppresse. Il fulcro non è una protesta contro l’hijab ma contro l’obbligo di indossarlo. Le donne che scendono in piazza lottano per il diritto di scegliere liberamente sulla propria vita. Partendo dalla richiesta di giustizia per Masha chiedono maggiori diritti e la fine della repressione da parte della Repubblica Islamica Iraniana. E così in Iran ci sono donne di tutte le età che bruciano i loro hijab in segno di protesta, studentesse universitarie che marciano cantando “Zan, Zendagi, Azadi” (“Donne, vita e libertà”) e ragazze che si filmano mentre si tagliano i capelli, simbolo di lutto e della ciocca sfuggita a Masha. “This is a women’s revolution”. Questa è una rivoluzione delle donne. Sono le parole che usa Amid, una giovane di 29 anni proveniente da Yadz, una città nel centro dell’Iran.

La repressione da parte dello Stato non si è fatta attendere. Con l’avvio delle proteste sono iniziati anche i primi arresti e le violenze da parte delle forze dell’ordine. L’uso di gas lacrimogeni e manganelli è all’ordine del giorno, i giornalisti vengono censurati e ricevono minacce di morte, gli studenti universitari occupano di più le celle delle prigioni che le aule dei campus. Secondo Iran Human Rights in questo momento si contano più di 100 morti e più di 1500 arresti, ma i numeri sono in continuo aumento e molto incerti perché l’accesso a ciò che succede in Iran è difficile. Infatti, fin da subito, il governo ha bloccato il collegamento ad internet per impedire il diffondersi delle notizie e il coordinamento fra i manifestati. L’oscuramento della rete è una violenza, serve ad impedire che vengano condivisi video che mostrano la brutalità della repressione da parte della polizia e che ne vengano identificati i responsabili. Difatti silenziando le voci dei partecipanti il regime spera che il massacro compiuto a danno dei propri cittadini da parte dell’apparato statale finisca nell’oblio. 

“Ecco perché scendo a manifestare”

Rona ha 20 anni e vive a Teheran. Anche se è già stata picchiata dalla polizia continua a partecipare alle manifestazioni, sapendo di rischiare la propria vita. Al Guardian racconta che ormai le proteste sono andate oltre alla richiesta di giustizia per Masha Amini: «sono qui per tutti i minuti della mia vita in cui sono stata umiliata per essere una donna». Spiega che a guidarla è un sentimento di vendetta contro quel regime che autorizza la mortificazione del corpo femminile, che permette che le donne vengano insultate e aggredite per strada. «Voglio essere libera».

Mohsin di anni ne ha 19 e vive a Mashhad, una città a circa 300 km da Teheran. Racconta che nei giorni precedenti ha visto un poliziotto spingere a terra una ragazza, cominciando a picchiarla. «Non dimenticherò mai la forza» dice. Sa che potrebbe succedere anche a lei, che poteva essere la ragazza a terra ma continua a partecipare alle proteste. Secondo la sua opinione l’uccisione di Masha ha ricordato alle donne le condizioni in cui sono costrette a vivere e questo ha dato loro la forza di ribellarsi. «Farei di tutto per il mio Paese e per le mie sorelle Iraniane che hanno cominciato questa rivoluzione». Farebbe di tutto, anche mettere in gioco la propria vita. 

In questi giorni migliaia di persone sono scese in piazza a manifestare contro il regime. Ben presto le giovani donne sono state affiancate dagli uomini e dalla generazione più vecchia. Ognuno di loro racconta la propria storia, ognuno ha le sue motivazioni. Ciò che li accomuna è la determinazione a rischiare la propria integrità per un futuro senza costrizioni. 

Quale futuro per l’Iran?

Nelle ultime settimane numerose manifestazioni a sostegno dei cittadini iraniani si sono svolte nelle principali città occidentali. Alcune esponenti politiche, come l’europarlamentare svedese Abir Al Sahlani e molte attrici hanno dimostrato la propria solidarietà tagliandosi una ciocca di capelli. Il mondo osserva con trepidazione l’intensificarsi delle proteste. Gli slogan contro l’Ayattolah Ali Khamenei, la guida suprema dell’Iran e contro la Repubblica Islamica sono sempre più diffusi e queste proteste sembrano essere l’inizio di una rivoluzione. Le richieste di maggiori diritti si stanno trasformando in una richiesta di cambiamento più grande. 

La Repubblica Islamica vanta una storia di repressione efficace dal 1979, anno della Rivoluzione guidata dall’Ayattolah Khomeini. Per fare un esempio, in occasione delle ultime proteste nel 2019, causate dall’aumento del prezzo del carburante, la polizia massacrò circa 1500 persone, terminando così le manifestazioni nel sangue. Eppure in queste settimane la leadership iraniana non è ancora riuscita a soffocare le richieste dei rivoltosi tramite l’uso della violenza. Anzi il movimento si è intensificato sempre più sfidando le autorità. 

La professoressa Shahindokht Kharazmi, ricercatrice presso l’università di Teheran, sostiene che queste proteste siano il simbolo di tutte le limitazioni che gli Iraniani hanno sofferto nel corso delle decadi precedenti. La frustrazione per il regime è un catalizzatore delle masse potente ma non basta per capire quello che sta succedendo in Iran. Il punto cruciale, che rende questa protesta differente da tutte le altre è il ruolo delle donne come leader della protesta. Questo fattore, oltre ad aver disorientato l’élite iraniana, ha unito tutte le frange della popolazione. Le donne guidano e gli uomini le supportano. Le loro richieste hanno superato le divisioni di etnia e di classe, rendendo il gruppo dei manifestanti più compatto rispetto alle proteste precedenti. Inoltre questa preminenza delle giovani donne ha destabilizzato il governo teocratico di Teheran, che ha sempre fatto dell’oppressione femminile uno dei suoi punti chiave. 

L’altro fattore fondamentale è la partecipazione attiva della fascia più giovane. Sempre Kharazmi nella sua intervista ha dichiarato che la generazione che guida la protesta, nata nell’era di internet, ha una mentalità che non contempla la sconfitta. Le loro aspirazioni per il futuro sono la forza trainante di questa protesta e non hanno intenzione di arrestarsi. Per esempio è significativo come, dopo l’uccisione di due coetanee, la protesta sia entrata per la prima volta anche nelle scuole, con le studentesse delle superiori che si fotografano senza velo nelle classi scolastiche o si riprendono mentre insultano le foto delle figure di riferimento della Repubblica Islamica. 

L’inizio di questa storia è una ragazza uccisa dalla brutalità di un regime. La sua morte ha scatenato un’ondata rivoluzionaria e le persone sono scese nelle strade sfidando l’autorità teocratica iraniana. Realisticamente parlando è molto difficile che i movimenti spontanei dal basso possano capovolgere un regime e anche nel caso in cui ci riuscissero, come nelle Primavere Arabe, gli esiti rischiano di essere disastrosi. Tuttavia il futuro dell’Iran non è ancora scritto. In questo momento le conseguenze che deriveranno da questa protesta sono ignote perché le possibilità di evoluzione di questa situazione sono ancora troppo molteplici per poter fare delle previsioni sicure. Ciononostante la partecipazione in massa dei giovani, e in particolare delle giovani donne, ha dimostrato che la mentalità in Iran è cambiata. «Anche se non vinciamo abbiamo già vinto in modi diversi» ha affermato una manifestante a Teheran «Lo Stato non ci può ignorare adesso. Le nostre istanze lo hanno reso più debole». Il fuoco della rivoluzione guidata dalle giovani iraniane non è destinato a spegnersi. 

Editing a cura di Claudio Annibali