I giovani russi gridano “no” alla guerra
I giovani russi gridano “no” alla guerra

I giovani russi gridano “no” alla guerra

I giovani russi gridano “no” alla guerra

Gli studiosi di demografia affermano che quando la condizione economica e la qualità della vita di un Paese migliorano, le persone tendono solitamente a morire di meno e a fare meno figli. Ed è quello che si osserva da decenni in diversi Paesi nel mondo, specialmente in Europa. Ma in Russia le cose sono andate diversamente. Dalla fine del regime comunista e il crollo dell’Unione Sovietica, la Russia ha infatti registrato un calo complessivo della popolazione, sia a causa di un declino delle nascite sia di un grave aumento della mortalità. Tuttavia, secondo il Kennan Institute, la crisi demografica russa non è dovuta tanto ai bassi livelli di natalità ma piuttosto al grande aumento della mortalità causato dagli ultimi quarant’anni di disoccupazione, stagnazione economica e crollo del welfare, soprattutto per quanto riguarda la sanità pubblica, in un Paese che registra ancora oggi numeri altissimi di suicidi e di problemi legati all’alcolismo. Mentre nel 1989 la Russia ospitava 290 milioni di persone, oggi ne ha meno della metà. E se da un lato questi numeri possono essere spiegati con la perdita delle ex-repubbliche sovietiche, dall’altro mostrano chiaramente una regressione nei livelli di salute che non ha precedenti in qualsiasi altra società alfabetizzata e civilizzata. 

Ma perché è importante parlare della crisi demografica russa? Perché crisi demografica significa avere una popolazione in media più anziana e quindi meno giovani da mandare a combattere. E questo rappresenta oggi uno dei principali motivi per cui la Russia, nonostante la propaganda e la tradizione militare, fatica ancora oggi ad occupare l’Ucraina.  

Fonte: Wilson Center

Data la mancanza di giovani nel Paese, come spiega il ricercatore e giornalista indipendente Kamil Galeev, l’esercito russo è oggi principalmente composto da tre comparti separati

Il primo comparto è quello composto dai soldati delle repubbliche secessioniste del Donbass, ovvero le milizie ribelli dell’Ucraina orientale che nel 2014 erano composte per lo più da volontari ma che nel tempo sono passate sotto il diretto controllo della Russia. Pochi giorni prima dell’invasione, i leader delle due regioni secessioniste avevano invitato i riservisti che un tempo avevano prestato servizio nell’esercito a visitare i centri di arruolamento senza spiegazioni, per poi avviare una vera e propria campagna di reclutamento, questa volta mandando a combattere anche giovani tra i 18 e 27 anni senza alcuna esperienza militare. Sono giovani che dal 2014 vivono in un Paese afflitto dalla guerra e dalla stagnazione economica, dove essere messi sotto contratto e diventare soldati è quindi una delle pochissime opzioni disponibili

Il secondo comparto è invece composto dalle milizie paramilitari cecene guidate da Ramzan Kadyrov. La Cecenia è una delle province più povere della Russia ed è governata da Kadyrov dal 2007, dopo che il Cremlino gli aveva affidato l’incarico con l’obbiettivo di reprimere i moti separatisti ceceni. Da quando è al potere, egli ha infatti sempre sostenuto il regime autoritario di Putin, fornendogli sicari per uccidere i propri oppositori politici o inviando forze per aiutarlo nelle proprie operazioni militari. Come capo della Cecenia, Kadyrov è noto per i suoi metodi repressivi e antidemocratici ed è accusato di gravi violazioni dei diritti umani. Non a caso, il coinvolgimento di questi combattenti, oltre a fornire supporto operativo all’esercito russo, rappresenta anche un ottimo strumento di propaganda per diffondere paura riguardo le atrocità notoriamente commesse dai ceceni. Tuttavia, le loro prestazioni sul campo di battaglia hanno in realtà rivelato inadeguatezze militari e amministrative e sono stati spesso accusati di girare solo video di propaganda con soldati ceceni che sparano ad alberi o a palazzi vuoti, come mostrano diversi video pubblicati sui social. 

L’ultimo comparto è infine composto da cittadini russi che hanno un regolare contratto con l’esercito. Se guardiamo le mappe sulla condizione economica della Russia, notiamo che le zone economicamente più depresse sono quelle che presentano una popolazione più giovane, che cresce di più rispetto a zone come Mosca o San Pietroburgo. Infatti, come mostrano i dati di Mediaziona e BBC, che da mesi monitorano le perdite della Russia in Ucraina, sono soprattutto i giovani di queste zone a riempire le fila dell’esercito russo. Si tratta soprattutto di province lontane e composte da minoranze, come il Daghestan nel Caucaso o la Buriazia in Siberia, caratterizzate da scarse opportunità lavorative e da una più alta disponibilità di giovani, che (anche in questo caso) vedono nell’esercito una delle poche opzioni disponibili. 

Questo fino all’annuncio della mobilitazione parziale proclamata da Putin il 21 settembre. 

Le proteste dei giovani russi

Dopo la decisione di Putin di ordinare una mobilitazione parziale nel Paese, milioni di giovani russi in età di coscrizione si sono svegliati con la consapevolezza che in qualunque momento potrebbero essere chiamati per partecipare alla guerra. Per far fronte alla carenza di soldati in Ucraina, infatti, la Russia ha dovuto ricorrere ad una mobilitazione che richiama in servizio i cosiddetti riservisti, ovvero coloro che hanno svolto il servizio militare in passato. Tuttavia, secondo alcuni osservatori, l’annuncio relativo alla mobilitazione sarebbe stato deliberatamente vago in modo da permettere al Cremlino di poter chiamare, se necessario, un numero maggiore di riservisti. 

Da allora centinaia di giovani hanno cercato di lasciare il Paese per evitare di essere inviati al fronte, ma i voli diretti dalla Russia verso Paesi vicini come l’Armenia, la Turchia o l’Azerbaigian, che consentirebbero loro di entrare senza visto, sono andati immediatamente sold out, mentre i prezzi dei voli verso altre destinazioni popolari sono aumentati di otto volte nel giro di poche ore. 

L’unico modo per evitare la circoscrizione è infatti quello di lasciare il Paese, ma molti non hanno la disponibilità economica per farlo. Inoltre, le autorità hanno da subito promesso dure ritorsioni per chi rifiuta di arruolarsi o diserta dopo averlo fatto. Ciononostante, i giovani russi continuano a cercare in tutti i modi di evitare la coscrizione e le ricerche internet su “come rompersi un braccio”, secondo i dati di Google Trends, sono esplose.

Cosa possono fare allora i giovani russi? Protestare. 

Dall’annuncio di Putin, infatti, centinaia di giovani sono scesi in piazza per far sentire la loro voce e protestare contro la mobilitazione, a partire dalle città più grandi come Mosca e San Pietroburgo, fino ad arrivare alle provincie più periferiche come quella del Daghestan, che oggi conta il numero più alto di vittime dall’inizio del conflitto. Ma anche manifestare risulta particolarmente difficile, poiché chiunque participi o incoraggi le proteste rischia fino a 15 anni di carcere. Come riporta OVD-News, infatti, solo nella prima giornata dopo l’annuncio di Putin, almeno 1.386 manifestanti sono stati arrestati e ad alcuni di loro è stato persino ordinato di presentarsi agli uffici di arruolamento. Sebbene gli arresti non siano stati mostrati nei canali televisivi di Stato, i video dei manifestanti trascinati via dalla polizia hanno rapidamente riempito i social media. Ciò non ha fatto altro che alimentare e amplificare le proteste, che continuano tuttora grazie a centinaia di giovani pronti a rischiare l’arresto pur di scendere in strada e gridare no alla guerra.

I giovani russi non vogliono la guerra e si sentono soli

Tuttavia, se guardiamo il numero di manifestanti raccolto da Meduza per ogni città, la portata delle proteste potrebbe sembrarci ad un primo impatto limitata. I motivi sono principalmente due. 

Il primo motivo riguarda il numero di persone che in Russia sono a favore della guerra. Meduza, infatti, è riuscito ad ottenere i risultati di un sondaggio d’opinione commissionato dal Governo russo sul sostegno della popolazione alla guerra in Ucraina. 

Stando ai dati, il 30% degli intervistati desidera che la guerra finisca immediatamente, il 15% ha ritenuto questa decisione troppo difficile, mentre il 57% ha affermato di volere che la guerra continui. Considerando quanto sia difficile ottenere un sondaggio di opinione attendibile in un Paese autoritario come la Russia, è comunque interessante notare come questi numeri cambino se si considerano le risposte date nelle diverse fasce di età. Tra i giovani della Generazione Z, infatti, il 56% vuole la fine della guerra, così come il 43% dei Millennials. In generale, più si sale di età più aumenta il numero di persone a favore della guerra. Che cosa significa questo? Significa che questa guerra è sostenuta soprattutto dagli anziani, tanto che molti l’hanno definita “una guerra di anziani che vogliono bloccare il Paese nel passato”. Mentre i giovani, più informati e meno vulnerabili alla propaganda di Stato, continuano ad opporsi e a scendere in piazza, spesso con la sensazione di essere soli e isolati dal resto della popolazione.

Il secondo motivo riguarda invece l’occhio occidentale con cui tendiamo spesso a guardare i regimi autoritari. Infatti, come afferma anche il Washington Post, nei Paesi con una lunga storia autoritaria e una scarsa cultura delle proteste, le manifestazioni di piazza rappresentano solo una parte della resistenza sociale. Bisogna guardare quella che viene definita “resistenza nascosta”. In questi mesi, infatti, sono nate numerosissime comunità online che offrono assistenza legale e alloggi sicuri a chi cerca di lasciare il Paese o vuole nascondersi dalle autorità. Ma non solo. Sono nate anche moltissime organizzazioni giovanili e reti di volontariato. Tra queste la più nota è sicuramente l’organizzazione Vesna, che è stata recentemente dichiarata estremista dal Governo e che si occupa di aiutare i giovani fornendo loro informazioni su come evitare la coscrizione. 

Tutte queste iniziative sono importantissime per il Paese e rappresentano l’altro lato invisibile delle proteste di piazza, dal momento che uscire allo scoperto è troppo rischioso e gli sforzi rischiano di venire repressi facilmente. 

Comprendere che queste forme di resistenza esistono, significa imparare a vedere con occhi diversi la Russia, ovvero non come un monolite sociale che accetta in modo incondizionato la facciata di unità e di rispetto verso le scelte del Cremlino, ma un Paese fatto di persone e realtà differenti. La Russia, infatti, presenta sfaccettature interne molto diverse tra loro che dobbiamo tenere in considerazione. E tra queste c’è sicuramente quella dei giovani russi, che già negli ultimi anni hanno sviluppato idee sulla politica, sull’Occidente e sulle relazioni con gli altri Paesi molto diverse rispetto a quelle delle vecchie generazioni. Ed oggi, con il conflitto tra la Russia e i Paesi occidentali che sostengono l’Ucraina, questa contrapposizione interna tra diversi segmenti della popolazione non ha fatto altro che aumentare, poiché i giovani si sono trovati letteralmente tra due fuochi: da un lato hanno la pressione delle autorità russe e del conflitto generazionale, mentre dall’altro lato ci sono le sanzioni occidentali e le conseguenze che ricadranno soprattutto su di loro, col rischio di isolarli sempre di più dal resto del mondo. 

Anche se parliamo di un Paese storicamente autoritario e difficile da comprendere, dobbiamo quindi sforzarci di riconoscere le sue sfaccettature e i suoi cambiamenti, nonostante ai nostri occhi possano apparire lenti e di piccole dimensioni. E, soprattutto, dobbiamo interrogarci sulla portata che questi cambiamenti possono effettivamente avere nel contesto sociale in cui nascono, per capire in questo modo a cosa possono ambire e dove possono portare. 

La resistenza e le proteste dei giovani russi saranno del tutto inutili? Oppure nei prossimi mesi Putin potrebbe scoprire che il terreno sotto i suoi piedi ha iniziato a spostarsi? Staremo a vedere.