La narrazione della memoria definisce il futuro
La narrazione della memoria definisce il futuro

La narrazione della memoria definisce il futuro

La narrazione della memoria definisce il futuro

Memoria. Un termine che generalmente viene associato al passato, al ricordo di qualcosa già avvenuto e cristallizzato nel tempo. La memoria possiede una dimensione narrativa. Unendo i propri ricordi si ottiene una storia: il racconto del proprio passato. Questo è di fondamentale importanza per l’identità. Senza passato è difficile rispondere alla domanda “Chi sono?”, un quesito a cui cercano di trovare soluzione sia gli individui che le comunità. 

Per un gruppo, la nozione di “memoria collettiva” definisce proprio questo: quell’insieme di eventi storici e tradizioni che vengono poste come esperienze fondanti della propria identità. Per rendere questo concetto più concreto è utile fare un esempio: in Italia il 25 aprile è una festa nazionale, si celebra l’anniversario della liberazione dal nazifascismo. Questo è un elemento della memoria collettiva dello Stato italiano contemporaneo. Infatti il 25 aprile non è semplicemente una data simbolica ma racchiude e porta con sé tutte le storie della Resistenza e i valori antifascisti fondanti dell’identità repubblicana di questo Paese. 

Sembra un concetto elementare, legato ad un passato ormai statico e definito. Tuttavia le cose non sono così semplici: la narrazione della memoria riguarda tanto il passato quanto il futuro. Il racconto della storia spiega le proprie origini ma è il modo in cui viene interpretato a mostrare che direzione si vuole intraprendere. Come se si fosse di fronte ad un filtro, il passato cambia a seconda di quello a cui si vuole dare priorità: interpretazioni diverse rivelano la storia in maniera rinnovata. Perciò la narrazione della memoria comporta la costruzione del presente e del futuro, coinvolgendo direttamente le nuove generazioni e le loro prospettive.

La mancanza di una memoria collettiva

La questione è più che mai attuale: il mondo contemporaneo oscilla fra la tendenza al “presentismo” e la narrazione di una memoria frammentata. Questo porta a chiedersi su quali basi si può costruire il futuro. Entrambe le attitudini comportano una certa inclinazione all’oblio e alla dimenticanza che rischia di essere pericolosa.  

Concentrarsi ossessivamente sul presente porta alla mancanza di progetti futuri e alla banalizzazione del proprio passato. Significa ricercare in maniera insistente il “qui e ora” distogliendo il proprio pensiero dalle conseguenze e dal significato delle situazioni che si stanno vivendo. Per mostrarne gli effetti sulle nuove generazioni si può citare un esempio: la riduzione e la svalutazione delle ore scolastiche delle lezioni di storia, viste sempre più come ridondanti. Il tema non è nuovo. Il dibattito intorno a questo argomento si era già formato negli anni della riforma Gelmini, ma nel 2019 ha avuto nuovo risalto con l’annuncio dell’eliminazione del tema storico dalle tracce proposte nella prima prova di maturità. Svalorizzare la storia significa perdere gli strumenti per comprendere il mondo attuale e le traiettorie di lungo periodo che diramano i loro effetti nell’attualità. In più comporta un’amnesia della propria memoria: che interpretazione dare ai remix da discoteca di “Bella Ciao!” diventa una qualsiasi hit estiva senza significato? Il rischio è la creazione di una nuova generazione impreparata e incapace di cogliere i tentativi di manipolazione ideologica della lettura del tempo passato. 

Memorie parziali: nascita della violenza 

Questo problema si ripropone anche nei casi di una memoria frammentata e di parte: una situazione che tende a creare delle profonde fratture nella società e a scuoterne le basi con violenza. In particolare lo si vede nelle rivendicazioni nazionaliste. “Leader del popolo” ed esponenti politici strumentalizzano la storia per irretire la propria base di consenso con lo scopo di legittimare i propri progetti. Tale rivisitazione crea delle crepe nel tessuto sociale dividendo i “Noi” dai “Loro” e porta, in maniera pressoché inevitabile, a un clima di discriminazione, odio e violenza. In tal modo i giovani assistono allo sgretolamento del proprio futuro, diviso dalle linee di faglia che permeano la società. 

Un esempio interessante è quello riguardante la mancanza di una memoria condivisa delle guerre avvenute nei Balcani negli anni ’90. L’assedio di Sarajevo del 1992 e le vicende di quel conflitto, come il genocidio di Srebenica, segnano alcuni dei momenti più bui della storia europea degli ultimi decenni. Nonostante la creazione di un Tribunale Penale Internazionale per i crimini commessi nell’Ex Jugoslavia, in Bosnia-Erzegovina non si è creata una memoria collettiva sulla guerra e le tensioni odierne fra le diverse minoranze risentono di queste fratture. Le ferite traumatiche della storia passano attraverso la narrazione della memoria e per poter costruire una società coesa e stabile serve un processo di condivisione ed elaborazione di una storia comune, che lontana dall’uso di retoriche futili, consegni alle prossime generazioni la verità e la complessità dei fatti accaduti. Proprio in Bosnia le nuove generazioni sono state le prime a capire l’importanza di questo e nel 2005 un gruppo di giovani ha fondato il progetto “Adopt Srebenica” che fra gli obiettivi prefissati si propone anche quello di fornire una particolare attenzione all’elaborazione di una memoria del genocidio. 

L’importanza di costruire una memoria comuneIl rischio di una manipolazione della memoria è sempre presente. Il discorso fatto da Putin in seguito al riconoscimento delle Repubbliche del Donbass, rappresenta proprio questo. Infatti il Il Capo del Cremlino ha definito l’Ucraina moderna come “un’invenzione della Russia”, fornendo così una visione falsata e alternativa dei fatti storici per giustificare la propria azione. Richiamandosi ai ricordi idealizzati di una “Grande Madre Russia”, Putin ha utilizzato la retorica del richiamo di un passato mitizzato, una strategia condivisa da molti populisti. La “nostalgia dell’epoca d’oro” è molto diversa dalla coltivazione di una memoria comune perché cerca di nascondersi irrazionalmente nella chimera del passato.

Come dimostra Georgi Gospodinov, scrittore bulgaro vincitore del Premio Strega europeo, nel suo ultimo romanzo “Cronorifugio”,fuggire nel passato non risolve i problemi del presente e impedisce lo sviluppo del futuro, condannando le nuove generazioni ad una cieca reiterazione di errori e orrori già visti in precedenza. La stabilità di una società passa anche attraverso una corretta narrazione della memoria che non deve essere banalizzata o ideologizzata. Solo così i giovani potranno possedere delle basi solide per costruire il proprio domani, guidati da interpretazioni della storia sempre più condivise e unificanti.