La Bielorussia è sempre una dittatura, anche durante le Olimpiadi
La Bielorussia è sempre una dittatura, anche durante le Olimpiadi

La Bielorussia è sempre una dittatura, anche durante le Olimpiadi

La Bielorussia è sempre una dittatura, anche durante le Olimpiadi

I Giochi di Tokyo 2020 (o 2021) sono ormai in dirittura d’arrivo. Ci avviciniamo, infatti, verso la cerimonia di chiusura di una delle più particolari edizioni della storia delle Olimpiadi che però, come sempre accaduto, non sono rimaste estranee a diverse vicende che hanno visto sovrapporsi spesso sport e politica.

Solo l’ultimo caso in ordine di tempo ha visto protagonista, nei giorni passati, l’atleta bielorussa Krystsina Tsimanouskaya, la quale ha criticato duramente il regime dittatoriale instauratosi da tempo nel proprio Paese. La Bielorussia, infatti, da molti considerata comel’ultima dittatura d’Europa”, desta da tempo non poca preoccupazione nei leader del Vecchio Continente; lo stesso Presidente, Alexander Lukashenko, lo scorso maggio aveva tra le altre cose fatto dirottare un aereo al fine di arrestare il giornalista dissidente Roman Protasevich.

La storia di Krystina Tsimanouskaya

L’atleta bielorussa è una velocista e dopo aver partecipato ai 100 metri avrebbe dovuto competere alla gara dei 200 metri prevista per lo scorso 2 agosto. Tuttavia, la stessa atleta aveva dichiarato di essere stata registrata dalla propria federazione, all’ultimo minuto e senza il suo consenso, per la staffetta dei 4×400 metri, per la quale non si era però allenata. La ragione di ciò sarebbe da ricercare nel fatto che alcune atlete non fossero state ammesse poiché prive di sufficienti test antidoping

Tsimanouskaya ha così criticato pubblicamente tale decisione, accusando peraltro gli allenatori di comportarsi in modo negligente. In seguito, l’atleta avrebbe ricevuto l’ordine “dall’alto” di abbandonare le competizioni e fare ritorno in patria, seppur contro la propria volontà. Attraverso i canali social, l’atleta ha denunciato l’accaduto, aggiungendo che diversi funzionari le avrebbero intimato di lasciare l’appartamento entro un’ora e recarsi in aeroporto. 

La donna ha dunque richiesto sostegno al Comitato olimpico internazionale, il quale è intervenuto portando l’atleta in un luogo sicuro. L’aspetto che va sottolineato è che il Comitato, al fine di far luce sui fatti, ha interpellato il Comitato olimpico bielorusso (diretto proprio dal figlio di Lukashenko), che ha replicato che il ritiro sarebbe giustificato da uno stato psicologico instabile di Tsimanouskaya. 

Le reazioni della comunità internazionale

La donna, che ha ricevuto il sostegno delle autorità giapponesi, si è in seguito trasferita presso l’ambasciata polacca di Tokyo, ove ha fatto richiesta di asilo politico. Nei prossimi giorni l’atleta si trasferirà in Polonia, dove la raggiungerà in seguito il marito, anch’esso adesso in pericolo in Bielorussia. Diversi Paesi dell’Unione europea hanno manifestato la propria solidarietà, tanto che oltre alla Polonia, anche Repubblica Ceca e Slovenia hanno offerto asilo politico all’atleta. Del resto, l’Unione europea ha già condannato e sanzionato più volte l’azione repressiva del regime bielorusso, senza trascurare la preoccupazione per quel che concerne i flussi migratori al confine con la Lituania. Proprio l’eurodeputata lituana Rasa Jukneviciene ha accusato la Russia e la Bielorussia di strumentalizzare i migranti per fare pressione all’UE.

Ritornando sull’episodio olimpico, anche la leader all’opposizione bielorussa Sviatlana Tsikhanouskaya – in esilio all’estero – si è detta vicina alla velocista e ha aggiunto che il difficile clima repressivo del Paese rende impossibile qualsiasi critica alle autorità bielorusse, anche in ambito sportivo. Non a caso, nel 2020 è nata la Fondazione Bielorussa per la Solidarietà nello sport, un’organizzazione che riunisce i dissidenti sportivi e aiuta a creare una rete di supporto. La loro azione è stata fondamentale al fine di mettere al sicuro Tsimanouskaya e suo marito. 

Ancora una volta, dunque, i grandi eventi sportivi mettono in luce quanto essi siano profondamente interconnessi con le dinamiche geopolitiche di uno specifico periodo storico e come dunque non sia possibile scindere la politica dallo sport. Basti pensare che in occasione delle Olimpiadi di Rio del 2016 ha debuttato per la prima volta la squadra dei rifugiati, frutto di un importante lavoro di cooperazione tra l’UNCHR e il Comitato Olimpico Internazionale. I maggiori enti sportivi internazionali devono operare al fine di creare un ambiente inclusivo, e lo sport ha un ruolo cruciale in tal senso. 

Il coraggio di Krystina Tsimanouskaya è ammirevole, ma va da sé che la sua storia non è che l’eccezione in un Paese in cui le libertà e le possibilità di movimento sono fortemente limitate dalle imposizioni delle autorità. Quest’ultima vicenda ci ricorda quello che accade quotidianamente in Bielorussia dove le manifestazioni antiregime non si sono mai fermate, non dobbiamo dimenticarlo.