I Pandora Papers fanno tremare l’America Latina
I Pandora Papers fanno tremare l’America Latina

I Pandora Papers fanno tremare l’America Latina

I Pandora Papers fanno tremare l’America Latina

L’uragano mediatico scatenato dalla pubblicazione dei primi Pandora Papers sta mietendo vittime illustri in tutto il mondo. Si tratta della più massiccia inchiesta giornalistica mai realizzata in tema di evasione e paradisi fiscali, che ha coinvolto decine di giornali e 600 giornalisti in 117 Paesi. L’investigazione si basa sull’analisi di oltre 11 milioni di documenti fiscali riservati risalenti agli ultimi 25 anni, acquisiti dal Consorzio Internazionale dei Giornalisti Investigativi (Icij) in due anni di lavoro. 

I file riguardano movimenti di denaro e proprietà off-shore (del valore stimato in 32mila miliardi di dollari) da parte di più di 130 miliardari di tutto il mondo e 300 figure politiche di alto livello, tra cui anche capi di Stato e di governo, in più di 90 Paesi. Già dalle prime pubblicazioni sembra che l’inchiesta sia destinata a sovrastare di gran lunga (per eco mediatica e per mole di fonti) il terremoto dei Panama Papers di cinque anni fa. Ancora una volta, e forse più che in passato, risulta chiaro come a pagare il prezzo più alto dello scandalo saranno l’America Latina e i Caraibi. 

Il largo coinvolgimento di politici e capi di governo regionali, insieme alla fama affermata degli Stati caraibici di essere paradisi non solo tropicali, ma anche fiscali, sono fattori che alimentano con violenza l’uragano dei Pandora Papers, spingendo l’intera regione in una tempesta dalle conseguenze sociopolitiche imprevedibili.

La politica latinoamericana nei Pandora Papers

Tre presidenti in carica e 11 ex presidenti; 90 politici di altissimo rilievo e persino il governatore di una Banca Centrale. Questo è il bilancio, ancora sommario, dei profili politici latinoamericani più pesanti che, secondo quanto rivelato da El País, avrebbero usufruito largamente di paradisi fiscali per nascondere le proprie fortune alla tassazione dei Paesi di origine.

Questi dati risultano particolarmente cruciali per il continente latinoamericano. In altre parti del mondo (come in Europa o negli Usa) è ragionevole pensare che un’inchiesta giornalistica di tale portata possa portare ad una larga e condivisa indignazione da parte dell’opinione pubblica con l’effetto auspicabile di stringere i controlli e serrare la legislazione in materia fiscale. Invece, in una regione come l’America Latina, che vanta un primato mondiale in termini di disuguaglianze (non solo economiche) e in cui si perdono ogni anno quasi 40 miliardi di euro di tasse a causa dell’evasione fiscale, lo scandalo dei Pandora Papers rischia davvero di trasformarsi in una bomba ad orologeria. Ancor più se si considera che dei 35 leader politici, attuali e passati, che figurano nei documenti, ben 14 appartengono a questa regione.

Cile, Brasile, Argentina e Messico: i nomi più pesanti

Tra i nomi più importanti presenti nei fascicoli vi è sicuramente quello di Sebastián Piñera, dal 2018 per la seconda volta alla guida del Cile, che deve ora difendersi da accuse pesantissime che coinvolgono anche alcuni esponenti della sua famiglia. Il tutto in un momento delicato per il Paese, intento a completare la redazione di una nuova Costituzione democratica.

I file pubblicati rivelano diversi movimenti off-shore riconducibili a due società di proprietà della famiglia del presidente cileno con sede nelle Isole Vergini Britanniche. È però un particolare affare del 2010 che ha attirato maggiormente l’attenzione degli investigatori: Piñera avrebbe ceduto ad un amico di infanzia la sua quota dell’impresa mineraria Minera Dominga per la cifra di 152 milioni di dollari attraverso una delle due compagnie off-shore, ma vincolando l’affare alla mancata istituzione di aree ambientali protette nel raggio operativo della società mineraria cilena. Il potere di istituire un’area protetta in Cile ricade sul governo, guidato allora proprio da Piñera al suo primo mandato. Il presidente ha provato a difendersi dichiarandosi “all’oscuro dell’operazione finanziaria”, ma da Santiago le opposizioni minacciano già l’ipotesi di impeachment.

In Brasile, i Pandora Papers hanno preso di mira i due uomini di punta del mondo economico: il ministro dell’economia Paulo Guedes e il governatore della Banca Centrale Roberto Campos Neto, entrambi risultati titolari di quote societarie con sede rispettivamente nelle Isole Vergini Britanniche e a Panama. «Nessuno dei due – si legge nella prima parte del reportage di El País – ha reso note al pubblico le proprie operazioni off-shore prima di assumere incarichi in cui hanno dovuto prendere decisioni che incidono su questo tipo di investimento». Questo conflitto di interessi sembrerebbe riguardare in particolare il ministro Guedes, vicinissimo al presidente Jair Bolsonaro, che sta guidando un progetto di riforma fiscale per ridurre la pressione proprio sul denaro privato nei paradisi fiscali.

In Argentina, il terzo Paese con il maggior numero di persone coinvolte, lo scandalo non ha tanto riguardato i numeri (la piaga dell’evasione fiscale è ben nota ad ogni livello), bensì la presenza, quasi invariata, degli stessi esponenti politici rispetto ai Panama Papers. Su tutti, risaltano diversi esponenti della famiglia dell’ex presidente Mauricio Macri. Lo stesso Macri, in una recente intervista, avrebbe dichiarato che in Argentina «per guadagnare bisogna evadere le tasse».

Nel panorama politico Messicano risultano invischiati nello scandalo l’attuale ministro delle comunicazioni e dei trasporti Jorge Arganis Díaz Leal e soprattutto Julio Scherer Ibarra, fino a poco tempo fa consigliere legale del presidente Andrés Manuel López Obrador. Entrambi risultano intestatari di vari titoli societari e immobiliari con sede nelle Isole Vergini Britanniche.

La tempesta è appena iniziata?

Tra le numerosissime altre figure politiche emerse tra le righe dei Pandora Papers risultano anche il presidente dell’Ecuador Guillermo Lasso, trovato ad operare attraverso 14 società off-shore; il leader dominicano Luis Abinader, protagonista di una vicenda opaca riguardante una piantagione di canna da zucchero; e il braccio destro di Ivan Duque, la vicepresidente Marta Lucía Ramírez insieme a ben due ex presidenti colombiani: César Gaviria Trujillo e Andrés Pastrana Arango, entrambi con una notevole influenza politica ancora oggi.

Non si sa ancora quali altre indiscrezioni porteranno le nuove attesissime pubblicazioni dei Pandora Papers in America Latina, ma ciò che risulta chiaro è che questa bufera potrebbe far precipitare la situazione politica rapidamente in alcuni contesti, spinta da una tensione sociale in evidente aumento, come si è già potuto vedere in Colombia e in Brasile. 

Editing e fact checking a cura di Alice Spada