Francis Bacon: i volti di un’artista indecifrabile
Francis Bacon: i volti di un’artista indecifrabile

Francis Bacon: i volti di un’artista indecifrabile

Francis Bacon: i volti di un’artista indecifrabile

Penso che l’arte sia un’ ossessione per la vita e, dato che siamo esseri umani, la nostra più grande ossessione è quella per noi stessi. Secondariamente ci sono gli animali, poi i paesaggi

Francis Bacon

Con queste parole il pittore Francis Bacon affermava quale doveva essere per lui il significato più intimo dell’arte.
Bacon nacque a Dublino il 28 ottobre del 1908 e cominciò a studiare disegno all’età di 16 anni. Tra la fine degli anni ‘20 e l’inizio degli anni ‘30 lavorò come decoratore d’interni, e solo dopo aver compiuto trent’anni cominciò a dedicarsi alla pittura, incoraggiato dall’ammirazione per i dipinti di Picasso esposti alla Galleria Paul Rosenberg che ebbe occasione di vedere durante un soggiorno a Parigi. Dell’artista spagnolo apprezzava la bidimensionalità, e dalle sue opere volle prendere ispirazione per trasformarle in una vera e propria pittura tridimensionale, ricerca che avrebbe condotto da autodidatta.

Così, nella veste di ben noto giocatore d’azzardo e amante dei piaceri della vita, Bacon celebrò il suo ingresso nel mondo della pittura con il trittico “Three Studies for Figures at the base of a Crucifixion”, del 1944.
Si tratta di tre creature antropomorfe e contorte che si stagliano su uno sfondo arancione dipinte con la tecnica a olio e pastello su tavola, e che prendono ispirazione da Le Eumenidi dell’Orestea di Eschilo. 

Francis Bacon, “Three Studies for Figures at the base of a Crucifixion”, 1944

Il trittico, di ispirazione picassiana, vuole meditare e reinterpretare il tema della Crocifissione e delle Furie greche, evidenziando la desolazione della condizione umana. Quando l’opera fu esposta alla Lefevre Gallery di Londra venne aspramente criticata dal mondo accademico più “tradizionalista”, mentre fu accolta con curiosità dalla critica al passo con le nuove dinamiche dell’arte.
Bacon cominciava ad essere conosciuto dal grande pubblico, e in seguito alla fase di reinvenzione dello stile cubista, iniziò a lavorare sul realismo dei volumi e sulla corposità dei colori dando vita a figure anatomicamente decostruite, esseri “mostruosi” e “crudi”.

Il primo autoritratto, che realizzò nel 1930, seppur di ispirazione cubista, mostrava già superfici spigolose e cromaticamente vivaci, dando un’anticipazione di quella che sarebbe divenuta la sua maniera caratteristica di dipingere trascinando i lineamenti di direzione in direzione opposta, stravolgendo le regole dell’anatomia.

Francis Bacon, “Autoritratto”, 1930

Nel 1958, uno dei nuovi autoritratti mostra lineamenti deformati e toni freddi e cupi, stesi attraverso striature di pittura trasparente e molto diluita. Prevalgono i colori del blu, viola e nero, che sembrano fondersi insieme: figure senza corpo e materia si amalgamano a uno sfondo senza profondità appena abbozzato.

Francis Bacon, “Autoritratto”, 1958

Dagli anni Sessanta in poi la deformazione dei corpi verrà codificata in maniera definitiva e i protagonisti delle sue opere saranno gli amici e personaggi noti dell’epoca. I colori diventeranno più brillanti e saranno stesi senza rispondenza al reale.

Osservando i nuovi dipinti, ci si rende conto che l’impiego di un pigmento bianco molto acceso dona plasticità ai personaggi, realizzati con accostamenti di contrasti accesi e di toni neutri. Le pennellate di Bacon, che hanno un andamento vorticoso, trasmettono un senso di movimento all’immagine. A volte il colore viene dato in strati leggeri che lasciano trasparire la tela grezza, mentre in altri punti il colore viene sovrammesso dando luogo a impasti densi soggetti a solchi, creste, protuberanze.

Dopo il suicidio del suo amante George Dyer nel 1971, l’arte di Bacon diverrà più cupa e interiore. Se i primi ritratti emergevano in modo vigoroso liberandosi dal fondo, le opere successive saranno caratterizzate dal prevalere dell’oscurità degli sfondi, talvolta predisposti a rosicchiare le figure, a tagliarle in modo netto, oppure a espandersi prepotentemente lungo l’epidermide dei personaggi.

Francis Bacon, “Autoritratto”, 1971

Diceva Bacon:

Si può dire che un grido sia un’immagine di orrore, ma io ero in realtà interessato a dipingere il grido più che l’orrore. Penso che, se avessi davvero riflettuto su ciò che induce a gridare, il grido che tentavo di dipingere ne sarebbe risultato molto più efficace. In un senso, avrei dovuto essere più consapevole dell’orrore da cui nasceva il grido. Le mie immagini in realtà erano troppo astratte.

Francis Bacon