Sport e razzismo: la figuraccia dell’Italia agli Europei
Sport e razzismo: la figuraccia dell’Italia agli Europei

Sport e razzismo: la figuraccia dell’Italia agli Europei

Sport e razzismo: la figuraccia dell’Italia agli Europei

La 12° Raccomandazione di politica generale della Commissione europea contro il Razzismo e l’Intolleranza afferma che «Lo sport può essere uno strumento potente per promuovere la coesione sociale e trasmettere importanti valori […]».

Questione di razzismo strutturale

Bryan Stevenson, avvocato per i diritti civili afferma come, ad oggi, non si sia ancora superata quell’ideologia di superiorità per cui la popolazione bianca debba prevalere su quella nera.

Lo scorso anno l’importanza del movimento civile “Black Lives Matter” nato nel 2013, si è amplificata a seguito dell’omicidio di George Floyd a Minneapolis e di altri afroamericani uccisi dall’abuso di potere e dall’uso della coercizione fisica da parte delle forze dell’ordine, ponendoci di fronte all’evidenza che la società odierna è permeata da forti diseguaglianze di matrice razzista e che, in alcuni casi, le azioni delle forze dell’ordine tendono a sottolineare lo stigma del razzismo all’interno dei vari tessuti sociali. Un articolo del New York Times conferma come nell’ultimo anno la disoccupazione, la pandemia e le azioni coercitive della polizia negli Stati Uniti abbiano colpito soprattutto la popolazione di colore, anche sull’onda delle posizioni abbracciate dell’ex presidenza Trump al riguardo.

“Divided States of America”

La nascita del movimento Black Lives Matter ha contribuito a livello internazionale a smuovere le coscienze di molti in ogni ambito della società e dunque anche in quello sportivo che da sempre usa una dialettica popolare per trasmettere messaggi che dovrebbero diffondere valori e principi contro ogni forma di discriminazione e intolleranza grazie all’enorme influenza e visibilità che gli eventi sportivi possiedono.

È da circa un anno che anche nel mondo dello sport si usano sistematicamente azioni simboliche per denunciare condotte razziste, ma l’atto di inginocchiarsi risale alla stagione americana di football 2015-2016. Questo gesto, il “taking the knee” fu introdotto da Colin Kaepernik, ex giocatore dei San Francisco 49ers, che, durante una partita di NFL, si mise in ginocchio al momento del national anthem anziché restare in piedi.

La star del football americano non voleva restare alzato onorando un Paese definito Stati Uniti d’America ma che, per dirla con la cantante Shungudzo, dovrebbero chiamarsi “Divided States of America” per le enormi fratture sociali e culturali dovute alle discriminazioni verso gli afroamericani e più in generale verso tutti coloro che non rientrano nel gruppo dominante WASP (White, Anglo saxon, Protestant).

Oggi il gesto-simbolo del “ginocchio a terra” ha superato l’Atlantico per arrivare- non senza polemiche- anche nelle competizioni sportive europee. In particolare, in questi giorni sta montando il dibattito circa il mettersi in ginocchio o meno da parte delle nazionali di calcio che stanno partecipando ai Campionati europei.

La UEFA precisa che ciò non è una prassi obbligatoria, ma è a semplice discrezione dei giocatori. Tra le varie nazionali in competizione, le opinioni al riguardo sono molto eterogenee: per la Francia, ad esempio, questa protesta ha perso il senso che aveva inizialmente, altre nazionali invece si sono inginocchiate coerentemente prima di ogni calcio di inizio.

E la nazionale italiana?

Anche gli Azzurri sono stati al centro dell’attenzione in queste settimane riguardo a tale questione. Già con il match inaugurale contro la Turchia, l’Italia aveva deciso di non inginocchiarsi, così come domenica 20 giugno, quando ha giocato contro il Galles. Mentre tutta la squadra gallese si è inginocchiata, i giocatori italiani però si sono divisi: alcuni si sono inginocchiati, altri invece no. Una scena alquanto imbarazzante.

Alcune fonti affermano che non tutti erano al corrente di cosa stava accadendo; un mancato confronto all’interno del team azzurro aveva impedito una coesione in merito. Lo scorso sabato, a Wembley, prima della partita degli ottavi di finale, gli Azzurri e l’Austria non si sono inginocchiati. La nazionale italiana però risultava ancora divisa sulla posizione da prendere e alla fine ha optato per una decisione a specchio: avrebbero agito conseguentemente all’Austria.

Questo venerdì gli Azzurri si confronteranno con il Belgio per i quarti di finale e, ad ora, la posizione della nazionale italiana sembra ancora alquanto confusa. La nazionale belga ha fatto sapere che, come ha sempre fatto, si inginocchierà prima del fischio d’inizio mentre la posizione italiana è stata comunicata dal capitano Giorgio Chiellini che ha paventato l’ipotesi- quasi certa verrebbe da dire- che se il Belgio si metterà in ginocchio anche gli Azzurri lo faranno ma non- si noti bene- come adesione al gesto bensì in segno di solidarietà verso la scelta della nazionale belga.

Sembra che l’imbarazzo la faccia da padrone, tanto negli uffici della FIGC quanto nello stesso spogliatoio della nazionale. Quello che viene da chiedersi è come abbia fatto un gesto contro il razzismo a diventare quasi un tabù. Perché un gesto che dovrebbe unire, ha in realtà finito per dividere?