Nello scontro tra Usa e Cina l’Europa deve scegliere: il caso Aukus
Nello scontro tra Usa e Cina l’Europa deve scegliere: il caso Aukus

Nello scontro tra Usa e Cina l’Europa deve scegliere: il caso Aukus

Nello scontro tra Usa e Cina l’Europea deve scegliere: il caso Aukus

Di Valeria Basilico e Ilaria Sacco



Il nuovo accordo che vede coinvolti Australia, Regno Unito e Stati Uniti, siglato il 15 settembre scorso, è un nuovo e più profondo tipo di alleanza strategica, avente al centro nuovi e tecnologici sottomarini a propulsione nucleare che Washington fornirà a Canberra per arginare la potenza navale cinese (in ascesa) nell’Indo-Pacifico.

Come è stato sottolineato dalla testata di settore australiana The Strategist, la valenza dell’Aukus va ben oltre l’accordo militare e geopolitico. Infatti, oltre a rappresentare una decisiva presa di posizione degli USA, potrebbe anche tendere alla possibilità di trasformare l’alleanza in un fattore di sviluppo tecnologico capace di espandersi potenzialmente anche alla sfera spaziale, delineando nuovi indirizzi strategici in quel campo.

Partendo dal principale assunto di George Liska secondo cui le alleanze sono sempre contro qualcuno o qualcosa, l’Aukus deve essere infatti intesa come un’alleanza in risposta al revisionismo e alla proiezione di potere cinese nell’Indo-Pacifico. Il patto permetterà infatti agli alleati degli americani- e in particolare all’Australia- di essere la chiave di volta dell’Indo-Pacifico e di controbilanciare il potere della sempre più assertiva Cina revisionista. 

L’Aukus secondo il realismo

Al di là del contenuto del patto, l’alleanza Aukus testimonia concretamente in che modo funzioni la teoria dell’equilibrio di potere – o equilibrio di minaccia-; un concetto centrale della scuola realista delle relazioni internazionali.

Il realismo è una delle principali teorie delle relazioni internazionali che, pur avendo delle differenze al suo interno, parte da un comune assunto: in un contesto internazionale anarchico, gli Stati – gli unici protagonisti della scena internazionale – agiranno secondo una logica razionale, ognuno seguendo i propri interessi in una condizione di perenne incertezza e di diversa distribuzione di potere. In particolare, è da considerare la teoria del balance of power, o equilibrio di potere, una condizione in cui, pur essendo presente una diversa distribuzione di potere, nessun attore è in grado di dominare sugli altri. In assenza di un governo internazionale, secondo i realisti, il balancing si verificherà sempre. Kennet Waltz, uno dei più grandi realisti, riteneva che una delle forme maggiormente comune sia l’equilibrio esterno: in poche parole, gli Stati cercheranno di mantenere lo status quo dell’ordine internazionale attraverso alleanze, ovvero, come spiega Waltz, ricorrendo anche alle capacità degli altri e non solo sulle proprie.

Secondo Waltz, quindi, la ricerca dell’equilibrio è sistemica, non dipende dalla volontà degli Stati ma è correlata alla struttura stessa del sistema internazionale. Ma quando si verifica in particolare? In presenza di un potenziale pericolo, come uno Stato che ottiene più potere, gli altri Stati tenderanno ad allearsi tra loro per controbilanciare le nuove ambizioni egemoniche ed evitare quindi che si possa formare un potere in grado di dominare tutti gli altri. Il concetto del balancing è infatti opposto a quello del bandwagoning, secondo cui gli Stati tendono ad allearsi con colui che considerano il più forte.

Sempre all’interno della teoria dell’equilibrio, Waltz aggiungerà un’altra variabile: la minaccia. Aggiustando il tiro, infatti, l’autore realista affermerà che il balancing avviene contro lo Stato che viene percepito come il più minaccioso. Quanto uno Stato rappresenti una minaccia in questo senso dipende da 4 fattori:

  1. Il potere esercitato dallo Stato;
  2. la tecnologia di tipo offensivo detenuta;
  3. la geografia (quanto più è vicino ai propri confini tanto più uno Stato sarà considerato un pericolo);
  4. le intenzioni e l’attitudine dello stesso (aggressive o pacifiche).

Gli Stati Uniti e i suoi alleati Regno Unito e Australia hanno dunque portato avanti un’alleanza contro la Cina. Se ciò è vero, però, è altrettanto vero che questa alleanza potrebbe spingere la Cina a controbilanciare a sua volta la nuova distribuzione di potere creatasi nella regione, stringendo nuove alleanze. Sempre in ottica dell’equilibrio di potere, l’Aukus sarà intesa come un’entità che tenta di modificare lo status quo e, quindi, da controbilanciare. Anche per il concetto del security dilemma, infine, uno Stato si sentirà inevitabilmente minacciato davanti ad un’alleanza che non lo include, non potendo mai essere certo delle reali intenzioni degli altri.

Il recente caso Aukus sembra confermare la dominanza della teoria realista sulle altre teorie delle relazioni internazionali e sembra sfatare il mito secondo cui il realismo non sarebbe la teoria adatta a spiegare i nostri tempi di unipolarismo. Se infatti è ancora fuori discussione l’egemonia americana a livello globale, a livello regionale (nel caso in esame, nell’Indo-Pacifico) gli USA avvertono il proprio potere sfidato con sempre più vigore dalla Cina revisionista al punto da sentire il bisogno di serrare i ranghi tra gli alleati più attivi in quella regione.

La commessa sfumata e la rabbia di Macron

Il neo-accordo tra i tre Paesi anglofoni ha ovviamente fatto sentire i propri effetti anche su altri attori: in primis, logicamente, sulla Cina, diretta interessata, e in secondo luogo sulla Francia, vittima collaterale per eccellenza di tale iniziativa.

Infatti Parigi ha visto sfumare all’improvviso un accordo miliardario per forniture militari (12 sottomarini da guerra) siglato precedentemente con l’Australia e mandato all’aria proprio dagli Stati Uniti che si sono presentati a Canberra come miglior offerenti, scippando di fatto la “commessa del secolo” alla Francia. Un colpo pesantissimo sia per il Paese e sia per la compagnia Naval Group di Cherbourg- potente gruppo industriale francese e uno dei principali costruttori navali europei-. Tra le fila del governo francese si parla addirittura di “coltellata alla schiena” considerando la questione estremamente più complessa e ben aldilà del mero fattore economico (anche sa la commessa sfumata da quasi 60 miliardi di dollari non è poca cosa). Non si tratta infatti solo di una grave sconfitta commerciale, con un contratto siglato nel 2016 e poi cancellato con un colpo di spugna; la disfatta rischia infatti di trascinare a fondo con sé una serie di trattative in corso con altri partner asiatici proprio nell’area in questione.

L’importanza che Macron attribuisce all’industria nazionale, specialmente nel campo militare, è di quelle prioritarie; motivo per cui le tre compagnie di punta – Dassault, Thales e Naval Group – vengono considerate vere e proprie “armi diplomatiche“. Alla luce di ciò non c’è motivo di sorprendersi se la prima contromossa simbolica francese è stata proprio quella estrema di richiamare i propri ambasciatori da Washington e Canberra. Quello che è cambiato negli ultimi cinque anni, cioè da quando la Francia ha siglato il primo accordo di fornitura, è l’importanza strategica che la regione dell’Indo- Pacifico ha acquisito per gli Stati Uniti; al fine di contenere l’espansionismo cinese si è centralizzato il ruolo di nuovi partner strategici, arrivando alla firma dell’alleanza informale del Quadrilateral Security Dialogue (Quad) tra Stati Uniti, Giappone, Idia e appunto Australia.

Cosa c’entra l’Unione europea?

Quello che ha sorpreso di più, in questo conflitto geoeconomico, è stata però la mancata presa di posizione da parte delle altre potenze occidentali che possa far trasparire una qualche forma di solidarietà nei confronti della Francia. Effettivamente si è letto che il patto anti-Cina fosse l’ennesimo colpo dell’Amministrazione Biden all’Unione europea. Quanto, però, l’Aukus rappresenta veramente una minaccia per tutta l’Unione?

Pur cercando di far passare “la pugnalata alle spalle” come una pugnalata all’intera UE, il Presidente Macron non è riuscito a far parlare con un’unica voce -condannando quindi quanto fatto dagli USA- i 27 Paesi membri. L’Aukus è una risposta diretta contro Pechino, non rappresenta attualmente una minaccia per Bruxelles; rappresenta tutt’al più una minaccia per quella Unione europea immaginata dalla Francia, ovvero autonoma e indipendente sulla scena globale ma, appunto, ancora solo immaginaria.

Tuttavia, comunque, è giusto soffermarsi sul fatto che, come affermato dall’Alto Rappresentante Josep Borrell, l’Unione europea non è stata comunque consultata. Se infatti non si può parlare di uno sgarbo diretto all’intera UE, ancora una volta – dopo i fatti di Kabul – gli americani hanno volutamente ignorato Bruxelles. Nonostante Biden abbia poi cercato di ricucire i rapporti con la Francia e con l’UE ( che è un «partner fondamentale per la sicurezza e il clima»), l’Aukus è l’ennesima prova della facilità con cui gli americani fanno sempre più a meno degli europei, optando per altri partner.

Gli USA hanno posto l’UE davanti a un bivio. Se vuole ancora essere partner fidata, deve essere totalmente dalla parte americana, allontanandosi da ogni rapporto negoziale con la Cina di varia natura: è questa la maggiore conseguenza per Bruxelles del patto tra USA, UK e Australia.