Ecco il nuovo Afghanistan dei talebani
Ecco il nuovo Afghanistan dei talebani

Ecco il nuovo Afghanistan dei talebani

Ecco il nuovo Afghanistan dei talebani

Sono ormai passate due settimane dalla presa di Kabul da parte dei talebani, notizia che era stata certamente annunciata ma i cui sviluppi hanno preoccupato -e lo fanno tutt’ora- la comunità internazionale. Tutti i canali di comunicazione, infatti, non solo forniscono aggiornamenti continui sulla situazione ma cercano anche di formulare le prime analisi sulle cause della tragedia, nonché le sfide che il Paese si troverà ad affrontare nel prossimo futuro.

Il fallimento delle forze NATO

Se il ritorno dei taliban in Afghanistan costituiva un evento ampiamente prevedibile e previsto, quello che maggiormente ha sconvolto l’opinione pubblica mondiale è stata la rapidità con cui, pezzo dopo pezzo, l’intero Paese e, in ultimo, la capitale siano caduti a seguito della quasi totale resa dei soldati dell’esercito nazionale afghano. Quest’ultima va interpretata come indice del più grosso fallimento della coalizione NATO che, in 20 anni di occupazione, non è riuscita a dare stabilità e sicurezza al Paese, sia dal punto di vista politico che militare. L’esercito afghano, davanti al “tradimento degli occidentali”, costituito dal ritiro delle truppe statunitensi e alleate, si è reso conto di non avere gli strumenti- e la volontà- necessari per sconfiggere i talebani e pertanto ha deciso di deporre le armi di fronte ai suoi nemici.

D’altra parte, l’esclusione del governo legittimo afghano dagli accordi di Doha del gennaio 2020 tra gli Stati Uniti e i talebani, fortemente voluto dal Presidente USA Donald Trump, aveva indebolito ulteriormente la credibilità dell’apparato statale a modello democratico, che già faticava a imporsi sul territorio a causa del carattere eterogeneo della società afghana. Si può concludere quindi che la missione di Nation-building (parzialmente negata negli ultimi giorni da Biden) che ha giustificato la presenza degli occidentali nel cuore dell’Asia dal 2001 in poi, si è rivelata fallimentare e ciò costituisce una delle cause più profonde della situazione attuale.

Chi sono i talebani?

L’Afghanistan è un Paese diviso in molte etnie spesso in lotta tra loro e le principali sono: i tagiki e uzbeki al nord; gli hazara, di confessione sciita, al centro e i pashtun, di confessione sunnita, al sud. I talebani sono un movimento guerrigliero e fondamentalista islamico nato in Afghanistan proprio nella regione del cosiddetto Pashtunistan (letteralmente “terra dei Pashtun”) nel lontano 1994. Il loro leader era il mullah Mohammed Omar, vecchio Mujaheddin addestrato in Pakistan per combattere l’URSS durante gli anni di guerra civile ed occupazione sovietica (1979 – 1989).

Nel 1996 i talebani vincono la guerra civile contro il governo legittimo di Rabbani e salgono al potere per la prima volta instaurando un regime basato su un’interpretazione molto radicale del Corano. Da quel momento la vita in Afghanistan diventerà intrisa di terrore, con restrizioni alle libertà fondamentali di tutti i cittadini, in particolar modo delle donne e delle ragazze afghane. Per loro sarà vietato lavorare e studiare, uscire non accompagnate da parenti di sesso maschile e verrà loro imposto di indossare il burqa. Le punizioni per i trasgressori della sharia erano atroci, spesso consistenti in mutilazioni, lapidazioni o esecuzioni in pubblico.

Il regime dura solo 5 anni, fino all’ottobre del 2001, quando l’operazione militare Enduring Freedom a guida statunitense individua l’Afghanistan come bersaglio per la risposta militare seguita agli attacchi terroristici dell’11 settembre 2001, finalizzata all’eliminazione dell’associazione terroristica Al Qaeda insieme al suo leader Osama Bin Laden, che si pensava avesse trovato rifugio sotto il regime di Kabul. In pochi mesi i talebani vengono sconfitti dalla soverchiante potenza americana senza tuttavia scomparire del tutto: durante i successivi venti anni, infatti, la guerriglia e i tentativi di contesa del territorio afghano non si arrestano.

Le promesse già infrante

Il primo comunicato stampa dei talebani dopo la presa del potere a Kabul è stato caratterizzato da toni rassicuranti e pacati con i media internazionali. Questi hanno dichiarato che si comporteranno diversamente rispetto ai loro padri fondatori e che le loro priorità al momento sono di istaurare l’ordine e lavorare per la ripartenza dell’economia del Paese. Hanno garantito, inoltre, che tutti i cittadini afghani collaboratori della coalizione internazionale e delle altre organizzazioni straniere non saranno toccati né saranno oggetto di alcuna vendetta. Le donne, infine, saranno attive nella società e potranno lavorare nel contesto delle leggi islamiche.

Tuttavia, numerose fonti giornalistiche e testimonianze ci dicono che gli eventi in Afghanistan sono in contraddizione con le dichiarazioni ufficiali, soprattutto nelle province, lontane dai riflettori della capitale. Nonostante le parole ufficiali dei talebani, gli afghani hanno di nuovo paura e dalle province hanno subito raggiunto l’aeroporto di Kabul, unico ponte aereo internazionale, nella speranza di trovare salvezza in un altro Paese. I talebani, infatti, stanno già commettendo crimini indicibili in violazione dei più basilari diritti umani, come la repressione militare delle manifestazioni di protesta, la ricerca capillare casa per casa di dissidenti e/o collaboratori del vecchio governo e degli attori internazionali, i rapimenti di donne e ragazze non ancora sposate da “donare” ai talebani.

La fuga da Kabul

Come da accordi con gli Stati Uniti, i talebani hanno permesso alle forze straniere rimaste sul territorio di evacuare dall’aeroporto di Kabul tutti i lavoratori di cittadinanza estera e i collaboratori afghani delle ambasciate, organizzazioni internazionali e organizzazioni non governative, fino al 31 agosto. L’attuale Presidente degli Stati Uniti Joe Biden ha tentato di negoziare con i talebani un prolungamento del termine delle evacuazioni, ma ancora una volta ha fallito. Gli USA e i suoi alleati si sono trovati quindi costretti ad accelerare il processo, per portare in salvo più vite possibile tra il personale civile e militare afghano che in questi anni ha collaborato con le forze USA. Le immagini dell’ultimo soldato imbarcato sull’ultimo volo militare in partenza da Kabul segna la fine della missione americana in Afghanistan e con essa la nascita, nel cuore dell’Asia, di una nuova repubblica teocratica.

La risposta internazionale

È evidente che la vita in Afghanistan sia immediatamente e notevolmente peggiorata nelle ultime settimane e che sia necessaria una cooperazione internazionale a diversi livelli per far sì che non vengano commesse nuove violazioni di diritti umani. I Paesi più ricchi stanno pensando di creare un dialogo con i talebani, che però significherebbe un riconoscimento de facto del regime. Un’altra possibile soluzione è quella dei corridoi umanitari o quantomeno di preparare un piano di azione congiunta prima dell’arrivo imminente di profughi afghani non solo nei Paesi limitrofi ma anche e soprattutto in Europa. Secondo questo scenario, sembrerebbe, dunque, essere già stata abbandonata l’ipotesi di una “riconquista” del Paese attraverso l’appoggio e il sostegno indiretto da parte della comunità internazionale alle forze di resistenza afghane insediate nella regione del Panjshir, rimaste le sole ormai a combattere i talebani.

In conclusione, gli interessi di stabilità e sicurezza di molti Paesi potrebbero essere messi a rischio dalla crisi afghana nei prossimi mesi. A tal proposito, è stata avanzata la proposta da parte del Presidente del Consiglio Mario Draghi di indire una conferenza straordinaria del G20 incentrata sull’Afghanistan, che possa far dialogare Paesi diversi e spesso in contrapposizione ma che, in questa particolare occasione, potrebbero mostrarsi ugualmente propensi a trovare una strategia comune.