Il ritorno dei talebani in Afghanistan
Il ritorno dei talebani in Afghanistan

Il ritorno dei talebani in Afghanistan

Il ritorno dei talebani in Afghanistan

Da giorni ormai l’offensiva dei talebani in Afghanistan sembra inarrestabile. Questi hanno infatti riconquistato la metà del territorio afghano instaurando un regime parallelo allo Stato legittimo. Ciò si è rivelato possibile a partire dall’annuncio del ritiro delle forze statunitensi (e di conseguenza di tutti gli alleati NATO) dopo 20 anni di presidio e occupazione.

Secondo l’Osservatorio ISPI (Istituto per gli Studi di Politica Internazionale), oltre il 90% delle truppe USA hanno lasciato il Paese da gennaio 2021. I talebani hanno preso possesso di 223 distretti su 407, provocando una crisi umanitaria: 18 milioni di persone hanno bisogno di assistenza, 270 mila sono i nuovi dispersi e 3,5 milioni i rifugiati afghani nel mondo.

Il ritiro degli Stati Uniti e l’avanzata dei talebani

Lo scorso aprile, il Presidente degli Stati Uniti Joe Biden aveva fissato il termine del ritiro totale delle truppe americane in Afghanistan per l’11 settembre 2021, una data fortemente simbolica in quanto ventesimo anniversario dell’attacco di Al Qaeda alle Torri Gemelle. Successivamente, lo stesso Biden ha però anticipato la data al 31 agosto 2021, ritenendo non più necessaria la presenza statunitense in quella regione. La scelta del ritiro della missione NATO era stata presa dal predecessore Donald Trump, attraverso un accordo siglato con i talebani a Doha il 29 febbraio 2020, in cambio di garanzie di sicurezza. In realtà gli attacchi del gruppo armato nei confronti dei civili e dei militari afghani non si sono mai arrestati ma l’accordo ha aperto comunque la strada ai colloqui di pace tra i talebani e lo Stato. Le prospettive “ufficiali” dichiarate dalla parte talebana non sono quelle di una guerra civile, ma di una soluzione politica che prevede le dimissioni del capo dello Stato Ashraf Ghani e l’istaurazione di un governo comprendente tutte le forze del Paese.

Tuttavia, la situazione reale è diversa: l’offensiva talebana, cominciata a maggio, ha raggiunto molti territori, determinando il controllo delle milizie anche sulle regioni confinanti con Iran, Uzbekistan, Tagikistan e Pakistan. Inoltre, la progressiva ritirata delle forze governative e l’aumento di potere e controllo dei talebani sta provocando preoccupazioni non solo tra gli Stati vicini ma anche tra tutti gli altri attori globali, visto che i traffici di armi e droga sono aumentati, il fondamentalismo dilaga e migliaia di cittadini afghani stanno cercando rifugio altrove.

Il ruolo degli Stati Uniti

La decisione di Biden di ritirare le truppe dall’Afghanistan, dunque, non va interpretata come il raggiungimento dell’obiettivo di stabilità e pacificazione del Paese: la “missione” non è compiuta. In realtà tale scelta va inquadrata nella necessità di riaffermare una leadership forte all’interno dell’Alleanza Atlantica, spostando l’attenzione sul nemico tradizionale (la Russia) e chiudere un capitolo della storia americana– quello afghano- che non suscita più l’interesse dell’opinione pubblica. Infatti, una volta sconfitti i terroristi di Osama Bin Laden, gli Stati Uniti e i suoi alleati avevano deciso di intraprendere una missione di nation-building, ovvero il processo di costruzione o di strutturazione di un’identità nazionale che utilizza lo schema dello Stato-nazione, con lo scopo di stabilizzare il Paese e assicurare il non reiterarsi delle medesime minacce. Sfortunatamente, questo intento si è rivelata un fallimento, dato che il Paese è tuttora diviso e i talebani stanno prendendo nuovamente il sopravvento.

Inoltre, già ai tempi dell’amministrazione Obama -di cui era vicepresidente-, Biden non sembrava credere nel successo delle azioni di ricostruzione dello Stato, ritenendo più che sufficiente la vittoria sui terroristi mediante l’intervento militare. In un discorso del 9 luglio scorso ha infatti affermato che prolungare la permanenza degli Stati Uniti in Afghanistan non avrebbe apportato vantaggi sugli interessi americani né tantomeno afghani, ammettendo così che l’obiettivo della guerra proclamato negli ultimi anni, cioè quello di stabilizzare il Paese e trasformarlo in una democrazia solida, sarebbe stato impossibile da raggiungere.

Data la presenza sempre più aggressiva dei talebani, il dipartimento della Difesa americano ha annunciato comunque che il generale Austin Scott Miller rimarrà in Afghanistan a monitorare la situazione ancora per diverse settimane, attraverso la sorveglianza aerea e, se necessario, tramite attacchi in funzione antiterrorismo.  Ciò sarà sufficiente a fermarne l’avanzata o è solo questione di tempo, in attesa del ritiro totale americano, prima che l’Afghanistan si ritrovi in una nuova violenta guerra civile?