Il dilemma della difesa europea: verso un esercito UE ?
Il dilemma della difesa europea: verso un esercito UE ?

Il dilemma della difesa europea: verso un esercito UE ?

Il dilemma della difesa europea: verso un esercito UE ?

 «Stiamo lavorando a una nuova dichiarazione congiunta UE-NATO da presentare entro la fine dell’anno. Questa però è solo una parte dell’equazione. L’Europa può – e chiaramente dovrebbe – essere in grado e avere la volontà di fare di più in autonomia. [..] Ciò di cui abbiamo bisogno è l‘Unione europea della difesa. Per questo, durante la presidenza francese, convocherò con il Presidente Macron un vertice sulla difesa europea. È tempo che l’Europa passi alla fase successiva» 

Ursula von der Leyen, Discorso sullo Stato dell’Unione 2021.

Senza un esercito né una difesa comune, l’Unione europea non può essere considerata un attore militare. La politica estera- e quindi la difesa- sono ancora una competenza degli Stati membri ma forse ancora per poco. Dal 2016 ad oggi si è effettivamente sperimentato un cambio di prospettiva: dalla EU Global Strategy 2016, in cui l’autonomia strategica viene per la prima volta menzionata come uno degli obiettivi chiave, al Discorso sullo Stato dell’Unione 2021, durante il quale la Presidente della Commissione von der Leyen ha rimarcato la necessità di un’Unione europea di difesa. Tutto ciò ha dato quindi inizio ad un intenso dibattito politico e teorico sulla possibilità di un esercito europeo. Da una potenza solo civile a un’Europa militare con un proprio esercito: è solo un mito o una possibilità reale?

Esiste una politica di difesa europea?

La Politica di sicurezza e di difesa comune (PSDC) è una delle componenti principali della Politica estera e di sicurezza comune (PESC). La PSDC permette all’UE di dotarsi di strutture politiche e militari proprie e di portare avanti missioni e operazioni civili e militari all’estero per garantire il mantenimento della pace, la prevenzione dei conflitti e il rafforzamento della sicurezza internazionale, così come stabilito dal Trattato di Lisbona, che prevedeva anche la graduale definizione di una difesa comune. Nonostante i passi avanti compiuti da allora (l’istituzione della PESCO, del Fondo europeo per la difesa, e di un progetto per migliorare le missioni militari), tuttavia l’Unione europea non è ancora un security actor credibile. Il processo di integrazione in questo settore non è infatti mai stato completamente compiuto e ciò significa che la difesa resta ancora una materia di esclusiva competenza dei singoli Stati membri, al di fuori, dunque, delle prerogative di Bruxelles. A livello europeo, il Consiglio Affari esteri, che riunisce i ministri degli esteri o di difesa di ogni Stato, cerca di coordinare al meglio la politica estera e di difesa comune con l’aiuto dell’Alto Rappresentante e del Servizio Europeo per l’Azione Esterna (una carica che di per sé rappresenta già un preciso programma).

L’Unione europea ha quindi il suo personale militare e le sue truppe; tuttavia, sono schierati dai singoli governi degli Stati membri. Non esiste quindi un esercito europeo, ma solo un esercito degli europei. Lo scenario della difesa europea viene descritto come frammentato e privo di coerenza in relazione a diversi aspetti, tra cui le capacità di sviluppo della difesa. Alcuni recenti eventi hanno però dimostrato come l’UE non possa più contare solamente sulla NATO – e quindi sugli Stati Uniti – per difendersi e per risolvere le crisi ai suoi confini. Molte voci a Bruxelles si sono schierate a favore di un’Unione più militare, in grado di raggiungere l’ambita autonomia strategica. Il dilemma è se questa implichi necessariamente la creazione di un esercito europeo. Gli studiosi di relazioni internazionali sono divisi sul tema: da un lato, una parte di autori ritiene che l’UE potrebbe difendersi e sfidare con successo alcune minacce critiche; al contrario, altri definiscono l’autonomia militare europea come un’illusione.

Fonte: EU External Action Service (2019)

Ma quali sono, in particolare, i motivi a favore di un esercito comune e quali quelli che invece escludono tale possibilità?

Esercito europeo: i pro…

L’Unione europea sta cercando di adottare lo Strategic Compass for security and defence, che dovrà essere pronto entro marzo 2022, sotto la Presidenza francese del Consiglio dell’UE. Proprio la Presidenza francese potrebbe rappresentare, infatti, un momento fondamentale per la difesa europea e per portare avanti l’ambizione dell’autonomia strategica (che nell’ottica di Parigi è soprattutto autonomia dell’UE dagli Stati Uniti). Questo potrebbe essere un punto di svolta per dare nuovi input alle iniziative di sicurezza e difesa e, soprattutto, per sviluppare una chiara strategia comune. Ispirata alla Global Strategy del 2016, lo Strategic Compass potrebbe rappresentarne una seconda fase. Ma perché adesso?

La Cancelliera tedesca Angela Merkel, nel 2018, disse che il tempo in cui l’Europa poteva affidarsi solamente agli altri era ormai passato. «La NATO è in stato di morte cerebrale», aveva aggiunto poco dopo il Presidente francese Emmanuel Macron. In un ordine geopolitico in continua evoluzione, l’UE si trova di fatto ad affrontare sempre più sfide e minacce: l’annessione russa della Crimea e la successiva crisi di sicurezza, la Brexit, l’amministrazione Trump, il ruolo sempre più critico degli attori non statali, le revisioniste Cina e Russia. Come sopravviverà l’Unione europea in questa crisi di sicurezza? Se vuole evitare di diventare irrilevante a livello internazionale, deve essere un attore globale credibile nel fornire protezione. Il potere civile e umanitario ha forse funzionato fino ad ora, ma in un ambiente internazionale più competitivo molti chiedono di più. 

Il secondo motivo è legato, in particolare, alla Brexit. Il Regno Unito era infatti uno dei più forti attori militari dell’Unione, con il più alto budget militare. Inoltre, il Regno Unito detiene un seggio permanente nel Consiglio di Sicurezza dell’ONU e possiede un arsenale nucleare. La Brexit rappresenta una perdita per l’UE in questo senso e, ad oggi, la Francia rimane l’unico Stato membro che dispone del nucleare. L’attuazione di un esercito europeo potrebbe colmare il divario presente tra i singoli governi europei in materia di difesa.

Inoltre, tutti i Paesi dell’UE dispongono di propri eserciti, personale e strumenti militari. Alcuni studi stimano che, con un unico esercito, potrebbero essere risparmiati circa 26,4 miliardi di euro ogni anno.

Spesa per la difesa dei membri NATO 2013-2020 (Fonte: NATO Public Diplomacy Division)

Infine, va menzionata l’incertezza sul futuro ruolo europeo nella NATO. Nel 2019, l’organizzazione ha dimostrato che solo cinque Paesi europei (tra cui il Regno Unito) avevano speso più del 2% del loro PIL per la difesa. Molti Presidenti americani hanno criticato a gran voce gli Stati membri (soprattutto europei) per non aver investito abbastanza in sicurezza, chiedendo un maggior burden sharing. L’accusa è proprio quella di sfruttare la difesa americana e la sua capacità offensiva, senza investire sulla propria. A tal proposito, alcune autorevoli voci, come quella di Barry Posen, ritengono che l’UE possa avere le capacità di difendersi da sola, anche senza l’aiuto americano: gli europei potrebbero facilmente superare i loro problemi di difesa, se solo decidessero di farlo, semplicemente aumentando la spesa militare.

Spesa per la difesa dei membri NATO 2013-2020 (Fonte: NATO Public Diplomacy Division)

…e i contro?

Il primo motivo per cui l’introduzione di un esercito non sembrerebbe attualmente possibile è la mancanza di coerenza interna. Il raggiungimento di un tale livello di integrazione in campo militare necessiterebbe l’unanimità da parte degli Stati membri, un’unità d’intenti che a Bruxelles è estremamente difficile da raggiungere anche per questioni meno problematiche. Inoltre, anche se si raggiungesse l’unanimità, un ulteriore problema sarebbe la prontezza: le questioni militari spesso richiedono una politica reattiva, ma come potrebbero 27 diversi Stati raggiungere una risposta comune rapida? L’UE comprende poi strategie e culture diverse. Alcuni Paesi sono più abituati ad impiegare il proprio personale militare mentre altri sono più propensi a ritenere che l’Unione europea sia stata fondata proprio per evitare la mobilitazione degli eserciti nel Vecchio Continente. Infine, ci sono diverse percezioni sulle minacce. Per alcuni Stati la minaccia è situata in Oriente (Medio o Estremo); in altri è il Sud; alcuni governi concentrano la loro attenzione sulla crisi migratoria, altri sulle minacce terroristiche. In poche parole, si tratta di ciò gli studiosi Meijer e Brooks definiscono “cacofonia strategica”.

Anche in questo caso, un fattore rilevante è rappresentato dal ruolo della NATO, un’alleanza basata sulla clausola della difesa collettiva tra i Paesi firmatari, di cui 25 (su 30) sono Stati membri dell’Unione europea. Una “duplicazione” della NATO guasterebbe inevitabilmente la relazione transatlantica. Gli Stati Uniti continueranno infatti a volere una divisione interna dell’UE, certamente non un’Unione in grado di parlare con una sola voce e con un proprio esercito. Infatti, la dipendenza totale dell’Europa dagli Stati Uniti implica di fatto il potere di piegare gli Stati UE al proprio volere. Per questo motivo, sin dalla fine della guerra fredda, ogni Presidente americano ha posto il veto su qualsiasi tentativo dell’Unione di diventare un attore più credibile in materia di difesa. La Casa Bianca chiede all’UE di fare di più, ma di fatto dice no ad ogni progetto autonomo. Anche durante un’amministrazione apparentemente più filo-transatlantica come quella di Biden, la relazione continua a basarsi su un preciso scambio: protezione in cambio di obbedienza.

Infine, la perdita di sovranità. Delegare l’autorità in materia di difesa a un’istituzione sovranazionale rappresenterebbe la perdita di gran parte del potere tradizionale di uno Stato. Ciò significa che un governo dovrebbe decidere autonomamente di rinunciarvi. Come sottolineano alcuni autori, la mancanza di progressi nel processo di integrazione in questo settore risiede proprio nella riluttanza degli Stati membri, e non nell’opposizione dei cittadini europei, che invece hanno sempre sostenuto realmente l’integrazione della politica di difesa.

Il dilemma della difesa europea

L’Unione europea è sempre stata oggetto di critiche per quanto riguarda la difesa. Non c’è dubbio che alcuni governi europei si siano abituati all’idea degli Stati Uniti come security provider anche nel continente europeo. Dopo i progressi fatti dal 2016, alcune voci hanno iniziato a ritenere necessario anche un esercito europeo. Tuttavia, optare per un esercito significherebbe l’integrazione totale della politica estera e di sicurezza. Ma, come sottolineato, queste decisioni oggi non vengono ancora prese a Bruxelles. Per una maggiore efficienza in ambito di difesa, è necessaria una maggiore rinuncia alla sovranità e una più profonda integrazione europea, che ad oggi non sembra possibile. 

Questo articolo ha presentato i principali argomenti a favore e contro un esercito europeo, sottolineando il dilemma della difesa in cui si trova attualmente l’Europa. In sintesi, ci sono due diversi fattori da considerare: il primo livello riguarda i problemi logistici interni (mancanza di capacità e coerenza interna, spese militari ecc..); il secondo è il rapporto con gli Stati Uniti, un alleato vitale che vuole però mantenere il controllo. Questi problemi dimostrano che il dibattito sull’introduzione di un esercito europeo è forse ad oggi meramente accademico. Bloccata in un dilemma, tuttavia, l’UE può puntare ad altro: un esercito comune non rappresenta l’unica soluzione per implementare la difesa europea e per conquistare un posto nel tavolo delle grandi potenze.