Diritto all’aborto: una lotta che non è ancora finita
Diritto all’aborto: una lotta che non è ancora finita

Diritto all’aborto: una lotta che non è ancora finita

Diritto all’aborto: una lotta che non è ancora finita

Adriana ha 16 anni. Il 14 maggio si è recata a Foley Square, New York, con un paio di pantaloni bianchi. Assieme a lei ci sono altre ragazze del suo liceo e la sua amica Eliza. Camminano compatte, vanno tutte assieme alla loro prima manifestazione. In mano tengono dei cartelli con delle fotografie di donne, di cui sotto hanno riportato i nomi. Adriana ha i pantaloni macchiati di rosso, una vernice che cola lungo tutto l’interno delle cosce come se fosse del sangue. Mima un aborto. Assieme a migliaia di donne è scesa in piazza per difendere il suo diritto ad un aborto sicuro e legale, un diritto che presto potrebbe esserle negato. «Il mio utero non appartiene allo Stato», spiega alla giornalista che la intervista. «Siamo la generazione che subirà per prima le conseguenze della fine della tutela a livello federale del diritto ad un aborto sicuro», nel caso in cui la sentenza Roe v. Wade fosse rovesciata dalla Corte Suprema degli Stati Uniti. 

Il diritto all’aborto in pericolo negli Stati Uniti

Il 14 maggio ci sono state più di 380 proteste in diverse città degli Stati Uniti, tra cui Washington, New York, Los Angeles e Chicago. Migliaia di persone si sono unite allo slogan “My body, my choice” per ribadire l’importanza di un aborto sicuro e legale. Infatti, per la prima volta, gli Stati Uniti potrebbero tornare indietro di quasi cinquant’anni. La minaccia scatta con la pubblicazione in esclusiva da parte del sito Politico di una bozza dell’opinione della Corte Suprema, scritta dal giudice Samuel Alito e confermata successivamente come autentica da parte del Presidente della Corte. All’interno si legge l’intenzione da parte della maggioranza di dichiarare incostituzionale il precedente decretato nel 1973 dal caso Roe v. Wade, che istituisce a livello federale l’aborto legale nel primo semestre. 

Il rischio era già stato annunciato. Complici anche i quattro anni di presidenza Trump, il pericolo era diventato sempre più concreto con la nomina di Amy Coney Barrett, fortemente antiabortista, come giudice della Corte poco prima del termine del mandato di Trump. Ciò ha dunque spostato l’asse della maggioranza interna verso le posizioni conservatrici dei repubblicani. Se quanto stabilito in Roe vs Wade venisse annullato questo consentirebbe ad ogni Stato federale di poter stabilire una propria giurisdizione sull’interruzione volontaria di gravidanza (IVG). Le stime prevedono che almeno ventisei Stati americani renderebbero l’aborto illegale, costringendo le donne alla clandestinità o a spostarsi per poter ottenere un’IVG sicura. I governatori repubblicani, come in Oklahoma, hanno già iniziato a porre delle limitazioni e le cliniche che praticano l’aborto stanno pensando a delle soluzioni alternative. 

Questa decisione colpirà in particolare il destino delle generazioni più giovani. Fornendo dei dati empirici, circa il 74% degli adulti under 30 negli Usa sostiene che l’aborto dovrebbe essere legale e praticabile in tutti i casi. Inoltre le donne ventenni sono, secondo le statistiche, coloro che ricorrono maggiormente all’IVG: nel 2019 la percentuale di aborti praticati nella fascia 20-29 anni era circa del 57%. Rovesciare Roe vs Wade significa costringere una parte di queste donne a diventare madri contro la propria volontà, impedendo l’autodeterminazione del proprio futuro e del proprio corpo. 

Panoramica sull’Europa: l’aborto è un diritto garantito?

In Europa la situazione è diversa. L’IVG è assicurata dalla legge nella maggior parte degli Stati europei. Può avvenire anche per motivi socio-economici o su richiesta volontaria ed esplicita della persona e in questi casi il termine consentito è mediamente intorno alla fine del primo trimestre. Ciononostante anche nel continente europeo esistono molte zone d’ombra per l’attuazione di questo servizio. Un diritto garantito si afferma anche nella realtà concreta e non resta un’effimera norma valida solo su carta. Esistono ancora numerose situazioni in cui si creano delle barriere d’accesso al servizio di IVG. Il Centro per i Diritti Riproduttivi fornisce un elenco esaustivo dei limiti che possono ostacolarlo. Per fare un esempio basti pensare all’obiezione di coscienza, presente anche in Italia.

Parlando di questo tema, in Europa bisogna nominare la Polonia: unico caso europeo di regressione di un diritto acquisito. Nell’ottobre 2020, la Corte Costituzionale polacca si è espressa riguardo il tema dell’aborto in caso di patologie e malformazioni embrionali. La domanda di costituzionalità era stata mossa dai partiti di destra, nazionalisti e ultracattolici, con riguardo alla legge, già molto restrittiva del 1993, che consentiva l’IVG in caso di gravi malformazioni del feto. Utilizzando espressioni quali “diritto dei bambini malati alla vita” o “eugenetica” la Corte ha revocato l’estensione promulgata dalla legge consentendo l’aborto solo nei casi di pericolo di vita per la madre o gravidanza in seguito ad uno stupro o incesto. Nel 2021 il Parlamento europeo ha condannato la sentenza del tribunale polacco e migliaia di donne si sono recate per protestare contro questa lesione della propria autodeterminazione assieme all’organizzazione Strajk Kobiet, sottolineando come questa decisione metta in pericolo la loro stessa vita

La situazione in Italia

In Italia l’IVG è stata legalizzata con la legge 194 del 1978. Ottenuta grazie alle battaglie femministe degli anni ’70, questa legge ha segnato un punto di svolta nei diritti delle donne italiane. Ancora oggi il 77% dei giovani ritiene che sia stata una buona legge. Ciononostante, le donne italiane affrontano ancora troppe difficoltà. In molte regioni l’accesso all’aborto è fortemente limitato o, addirittura, negato, a causa dell’alto tasso dei medici obiettori di coscienza. La media italiana si aggira intorno al 70% ma in ben 31 strutture, tra ospedali e consultori, il tasso raggiunge il 100%. Questo comporta un aumento dei costi per praticarlo, vista la necessità di uno spostamento e una disparità nel trattamento, rendendolo più difficile per le donne vulnerabili economicamente. Ulteriori barriere sono la difficoltà di recepire informazioni per praticarlo e i provvedimenti amministrativi introdotti in alcune città e regioni per ostacolare l’aborto farmacologico. Come in altri Stati europei si parla di un diritto presente su carta, ma senza garanzie concrete. 

Una realtà tutta italiana invece è la storia dei “cimiteri dei feti”. Organizzati da alcune associazioni religiose “pro life” con la complicità dei reparti ospedalieri, questi luoghi raccoglievano e seppellivano i feti smaltiti dopo le operazioni di IVG sotto una croce bianca, indicando la data e il nome della donna che aveva abortito. Il tutto avveniva senza il consenso della donna e senza garantirne la privacy, incuranti della violenza psicologica che causavano. La denuncia di Francesca Tolino ha avviato un processo che ha portato alla luce questa realtà in molte città italiane

Un lato positivo in questo scenario drammatico però c’è: la noncuranza dello Stato italiano ha provocato un movimento della società civile che in risposta ha creato delle associazioni per aiutare le donne ad usufruire del proprio diritto. “Libere di abortire” ha avviato una campagna di sensibilizzazione su questo tema, mentre, sul proprio sito internet, “Laiga194” distribuisce informazioni sulle metodologie di IVG e su cosa fare in caso di necessità, fornendo anche una mappa degli ospedali italiani con personale non obiettore a cui rivolgersi.

La tutela del diritto all’aborto

Giorgia Soleri, attivista femminista, in un’intervista ha raccontato la sua esperienza di IVG: «In quel momento sono stata completamente vittima della narrazione della donna distrutta che deve dimostrare il sacrificio dell’aborto. In realtà io mi sentivo in colpa per non sentirmi in colpa. Sapevo che stavo facendo la scelta migliore per la mia vita e per quella anche di un possibile figlio, visto che avevo 21 anni e non potevo proprio avere un figlio». 

In Italia, come in altre parti del mondo, la narrativa predominante è che abortire coincida con l’essere egoiste. Questa retorica è spesso accompagnata da un altro streotipo che vede la donna come una “madre per natura” e l’aborto come una decisione traumatica perché contraria a questo istinto. La realtà è diversa. In molti casi l’aborto è traumatico a causa di un cattivo trattamento, che spesso diventa violenza ospedaliera, più che per la decisione in sé. Rivendicare una propria soggettività nel vivere l’esperienza di IVG significa ascoltare la complessità dei vissuti umani e rompere queste narrative totalizzanti. 

Le nuove generazioni l’hanno capito bene e scendono in piazza a protestare quando il diritto all’aborto viene ad essere intaccato. Lottare per il diritto all’aborto significa lottare per il controllo del proprio corpo e per la propria autodeterminazione. Le narrazioni della donna come “madre per natura” o, in caso contrario, dell’infanticida, riconducono le donne ad una dimensione subordinata e monolitica. Imporre una gravidanza non voluta è una violenza e ognuna deve poter decidere se portarla avanti e diventare madre oppure no.

Quello che sta avvenendo negli Stati Uniti mostra come i diritti acquisiti debbano essere tutelati continuamente. Il rischio è che perdendo il diritto all’aborto si ceda gradualmente il controllo su tutto il resto. Margaret Atwood lo racconta nel suo romanzo “Il racconto di un’ancella” ambientato in un futuro distopico in cui le donne sono condannate ad una servitù riproduttiva e sessuale. Adriana, Eliza e tutte le altre giovani scese in piazza sanno bene qual è la posta in gioco e per questo fanno sentire la propria voce, lottando per la propria autodeterminazione, nella speranza che il mondo creato dalla Atwood non si realizzi mai. 

Editing e fact checking a cura di Claudio Annibali