Sustainable Fashion: è possibile una moda sostenibile?
Sustainable Fashion: è possibile una moda sostenibile?

Sustainable Fashion: è possibile una moda sostenibile?

Sustainable Fashion: è possibile una moda sostenibile?

Negli ultimi anni il discorso sulla moda sostenibile e le sue tecnologie si è fatto più ampio e interessante, il tutto è coinciso con il ritorno dell’abbigliamento vintage e il second-hand shopping. Il tema può essere considerato inoltre una grande e attiva risposta alle esigenze ambientali del nostro pianeta, ma soprattutto al fenomeno della fast-fashion, accompagnato dalla voglia di innovare e di inventarsi dei giovani designers.

Una prima grande distinzione: fast-fashion vs slow-fashion

Con il termine fast-fashion si intende il processo di imitazione delle tendenze e degli stili dei grandi stilisti in passerella. Questo sistema consentirebbe di “accedere” a designs simil-haute-couture ad un prezzo piuttosto basso; il tutto però non è esente da costi, ben più alti e di diversa natura.

La fast-fashion può produrre fino a undici collezioni diverse all’anno, contro le due standard di una casa di moda. I giganti della fashion distribution impongono intensi ritmi alla propria forza lavoro per ottenere una produzione- e conseguente distribuzione- rapida ed economica. Solitamente la produzione dei grandi marchi viene delocalizzata impiegando manodopera locale in luoghi come il Bangladesh, la Cambogia e l’Indonesia, dove la legislatura in merito ai diritti dei lavoratori è più labile e facilmente eludibile e tale da poter comprare, per un totale di 12 dollari al mese, fino a 13 ore al giorno di lavoro senza pause.

È inutile dire che il sistema permette una produzione notevole a costi minimi, che chiaramente influisce sul prezzo finale d’acquisto. I consumatori si sentono così incoraggiati ad acquistare un capo per il suo prezzo estremamente vantaggioso, indossandolo poche manciate di volte e scartandolo poi, spesso prima della sua reale usura.

Il termine slow-fashion, invece, definisce una moda improntata sulla diminuzione della velocità di produzione, di consumo e di smaltimento dei capi d’abbigliamento. È una moda che considera attentamente i materiali utilizzati, la manodopera di chi realizza i capi, e l’impatto ambientale dell’intero processo. In altri termini, si tratta di concepire la moda in maniera etica e sostenibile.

Le 3 R della moda sostenibile: Riciclo, Riuso e Risparmio

Spesso si associa un prodotto “sostenibile” a un prezzo esagerato, ma non è così. Indubbiamente alcune tecnologie, anche nel mondo del fashion, richiedono un investimento più ingente, ma attualmente esistono tanti modi diversi per adattare il proprio armadio a uno stile di vita consapevole in base alle proprie capacità di spesa.

Di seguito ne affronteremo diversi utilizzando le 3 R della moda sostenibile:

1. Riciclo. La pratica del riciclo riguarda il processo di trasformazione finalizzato al reinserimento dei rifiuti in un nuovo ciclo produttivo. Si possono riciclare materiali pre-consumo, ossia originati da scarti ed eccedenze di produzione, e post-consumo, ossia recuperati a fine ciclo di vita.

A questa categoria appartengono le pratiche di recycling, upcycling e downcycling.

  • Con recycling si intende quel processo che rimette un materiale nello stesso ciclo di vita precedente, quindi una pratica che trasforma il materiale nello stesso prodotto. Un esempio potrebbero essere gli scarti di una stoffa in fili che vengono utilizzati per creare nuovi pezzi del medesimo tessuto;
  • Il termine upcycling indica quel processo che converte un materiale in qualcosa di valore maggiore di quello che era in origine. Un esempio potrebbero essere gli scarti di stoffa avanzati da una produzione di un lotto di vestiti, trasformati per creare nuovi accessori come borse di qualità, più preziose dello stesso materiale nella sua forma precedente come scarto;
  • Il downcycling converte un materiale in qualcosa di meno valore di quanto non fosse in origine. Spesso ciò è dovuto al fatto che la natura del materiale impedisce di mantenere la medesima durabilità una volta rielaborato. Un esempio potrebbero essere gli stracci per pulire, creati con parti di vestiti ormai inutilizzabili e difficilmente riciclabili in altri modi.

2. Riuso. La pratica del riuso indica il riutilizzo di prodotti, ossia un allungamento del loro ciclo di vita, rivalorizzato in una nuova modalità di impiego e destinato a nuovi mercati e consumatori. È questo il caso del vintage e second-hand shopping, pratiche in cui non vi è immissione di nuovi prodotti nel mercato, bensì un consumo circolare di beni già presenti.

3. Risparmio. Il termine risparmio riferisce in questo senso all’efficienza energetica dei produttori e distributori, derivante dalla possibile riduzione dei costi energetici e al contenimento di risorse idriche necessarie ai processi di lavorazione. È questo il caso delle tecnologie della moda, intese come fabbricazione e lavorazione dei tessuti. Un esempio possono essere i materiali di origine vegetale come juta, lino, canapa e agave. Questi richiedono un minore utilizzo del suolo, un basso consumo di acqua e resistono naturalmente contro parassiti e malattie.

Abbiamo dunque visto che i modi per convertire il proprio armadio in maniera etica e sostenibile sono diversi, alcuni di semplicissima realizzazione (come riutilizzare un capo d’abbigliamento) altri più sofisticati (come acquistare tessuti lavorati con tecnologie sostenibili). È fondamentale prendere coscienza delle diverse possibilità e implementarle, ove possibile, in base alle proprie capacità. Un consumo consapevole potrebbe avere un impatto fortemente positivo su ogni aspetto della nostra società, dal livello economico, a quello sociale, fino a quello ambientale.

Sì, una moda sostenibile è possibile ma, ancora di più, una moda sostenibile è necessaria.