Plastica e imballaggi per alimenti: un problema da risolvere
Come si è letto nelle scorse settimane, dal 2023 il governo spagnolo vieterà la vendita di frutta e verdura in contenitori di plastica, senza distinzione alcuna tra piccoli negozi al dettaglio e grandi supermarket. Si tratta di una importantissima novità contenuta nel decreto regio sugli imballaggi e i rifiuti approvato dal Ministero per la Transizione Ecologica di Madrid.
La corsa della Spagna verso l’economia circolare
Nello specifico, la norma vieta il confezionamento in plastica per lotti di peso inferiore a un chilo e mezzo, il cui elenco di prodotti soggetti sarà stabilito dall’Agenzia Spagnola per la Sicurezza Alimentare e la Nutrizione. Si tratta di un significativo cambiamento rispetto al modello di vendita a cui finora consumatori e imprese sono stati abituati, che sfortunatamente porta con sé una serie di attriti e complicanze tecniche. Il Governo prevede infatti misure di promozione per la vendita all’ingrosso di prodotti freschi privi di imballaggi, con condizioni di pulizia e idoneità dei nuovi contenitori riutilizzabili stabilite dalle imprese. Il decreto spinge inoltre le pubbliche amministrazioni alla promozione dell’installazione di fonti d’acqua potabile negli spazi pubblici, al dovere di offrire alternative alle bevande confezionate e vieta la distribuzione di bicchieri monouso negli eventi pubblici. L’obiettivo generale della norma è quello di ottenere una riduzione del 50% della vendita di bottiglie di plastica per bevande entro il 2030 e di raggiungere il 100% di contenitori riciclabili presenti sul mercato. La normativa così strutturata si fa portavoce degli importanti passi avanti mossi dal governo spagnolo verso un’economia circolare, seguiti da obiettivi e misure più che specifiche per consumatori, imprese e pubbliche amministrazioni.
L’azione europea per un consumo sostenibile: la Direttiva SUP
Simili considerazioni sono da farsi per la Direttiva UE 2019/904 entrata in vigore lo scorso 3 luglio.
La Direttiva SUP (Single Use Plastic) bandisce infatti prodotti in plastica monouso in tutti i Paesi membri. La disposizione mira a ridurre la quantità di rifiuti plastici presente nel nostro pianeta almeno del 50% entro il 2025 e fino all’80% entro il 2030. Nello specifico, la norma vieta l’utilizzo di bastoncini cotonati, posate e piatti, cannucce, mescolatori per bevande, aste per palloncini, tazze e contenitori per alimenti e bevande in polistirene espanso. A fare da sfondo alla norma comunitaria vi sono senza dubbio l’intenzione di ridurre il negativo impatto della plastica sull’ambiente e sulla salute umana, nonché la promozione di un’economia circolare con modelli imprenditoriali, prodotti e materiali sostenibili, contribuendo così all’innovazione del mercato interno.
Tuttavia, l’introduzione di una simile novità, in un mercato maturo come quello dei produttori di plastica, non è esente da conseguenze. Con la dismissione della vendita dei prodotti in plastica monouso entrerà in vigore la cosiddetta plastic tax, che inciderà proprio sul costo di questi beni di consumo. Secondo l’Istituto Professionale dell’Organizzazione Aziendale (IPSOA) il credito d’imposta dovrebbe infatti aumentare del 10% e ciononostante potrebbe non essere sufficiente a compensare i risultati negativi dei produttori dei beni soggetti a normativa. L’entrata in vigore della direttiva può quindi avere conseguenze negative sull’industria manifatturiera italiana, che presenta numerosi impianti di produzione di imballaggi in plastica. L’IPSOA suggerisce quindi l’utilizzo di manovre economiche a supporto dei produttori, al fine di sostenere la riconversione delle attività verso la produzione di prodotti che siano compatibili con la nuova direttiva e i criteri di eco-sostenibilità.
Gli imballaggi nella filiera alimentare: un problema senza soluzione?
Oltre le normative, la speculazione economica e l’ecosostenibilità, gli imballaggi nella filiera alimentare hanno più che un semplice ruolo. Il marketing si concentra sulla qualità e sul processo di reperimento, preparazione e analisi del prodotto alimentare, ma si focalizza poco, se non per niente, su come quest’ultimo realmente mantenga le sue caratteristiche durante il ciclo di vita commerciale. Tra le funzionalità del packaging alimentare rientrano infatti la protezione dell’alimento da danni meccanici, la prevenzione e il ritardo del deterioramento biologico dell’alimento, l’agevolazione del trasporto e dello stoccaggio, ma soprattutto, l’informazione del consumatore, che consente l’identificazione del prodotto tramite l’etichetta o altre indicazioni stampate direttamente sulla confezione.
È evidente l’esigenza di una mediazione tra bisogni del consumatore, dell’impresa e necessità ambientali. Una soluzione sostenibile, in senso economico, sociale e ambientale, può essere l’investimento in bioplastiche.
Con bioplastica si intende un tipo di materiale organico il cui carbonio deriva esclusivamente da risorse biologiche rinnovabili. Gli elementi che compongono le bioplastiche sono infatti biodegradabili, compostabili e a basso impatto ambientale. Nello specifico, con biodegradabilità si intende la decomposizione della materia organica fino a tradursi in CO2 e H2O. La compostabilità è invece la possibilità del materiale organico di trasformarsi in compost. Si parla invece di basso impatto ambientale di un materiale quando non vi è (o è trascurabile) il trasferimento di sostanze inquinanti nell’aria, nell’acqua e nel suolo. I polimeri bio-based che andrebbero a comporre le cosiddette bioplastiche sarebbero dunque, a tutti gli effetti, la nuova frontiera del packaging sostenibile. Rimangono una delle soluzioni più concrete al problema del recupero e smaltimento dei rifiuti in plastica, poiché permetterebbero il soddisfacimento dei bisogni dei consumatori, delle esigenze delle imprese e il rispetto delle necessità ambientali.
Editing e fact checking a cura di Claudio Annibali