Perché i fatti di Milano devono metterti paura
Perché i fatti di Milano devono metterti paura

Perché i fatti di Milano devono metterti paura

Perché i fatti di Milano devono metterti paura

La scorsa domenica a Milano si è consumato un fatto di gravità inaudita, in pieno giorno e a pochi passi da centro della città, nelle vicinanze dei Navigli: un gruppo di ragazzi (circa 15) si trovava insieme per fare colazione seduti all’esterno di un noto fast food quando una volante della Polizia, attirata dal suono di un campanello di un monopattino suonato da uno dei giovani, si è fermata minacciando il ragazzo e chiamando poi rinforzi, tra cui due camionette dei Carabinieri. I militari si sono presentati in tenuta antisommossa e hanno iniziato a usare violenza verso i presenti, prendendo a calci un ragazzo e usando il manganello verso una ragazza che cercava di difenderlo, entrambi disarmati. La situazione sarebbe in seguito degenerata con alcuni ragazzi che avrebbero lanciato bottiglie di vetro verso i Carabinieri. Il tutto è stato accompagnato da insulti razzisti delle forze dell’ordine nei confronti dei giovani, tutti neri e afrodiscendenti.

A testimoniare l’accaduto, i video pubblicati sui social da una delle ragazze presenti al momento degli scontri, conosciuta su instagram come @riphuda, che ha sottolineato come l’aggressione operata dalle forze dell’ordine sia stata chiaramente connotata da motivazioni razziste in quello che va considerato come un vero e proprio abuso di potere.

È a questo punto però che le cose si fanno- se possibile- ancora più gravi: la notizia degli scontri di Milano inizia a diffondersi in città e, grazie ai social, in tutta Italia ma in due versioni completamente differenti. Molti quotidiani nazionali, tra i più noti e accreditati, iniziano a riportare tra le proprie colonne la notizia, ma non i fatti, non la verità. È quanto sceglie di fare, ad esempio, il Corriere della Sera limitandosi a riportare per intero il comunicato dei Carabinieri. Qui si legge che i militari si sarebbero recati sul luogo per sedare una rissa e sarebbero stati costretti a intervenire a seguito di “comportamenti provocatori” nei propri confronti da parte di alcuni giovani “stranieri” che ascoltavano musica ad alto volume e bevevano alcolici. «Nel corso dell’intervento- si legge ancora sul Corriere- sono state identificate e sanzionate per via delle misure anti Covid, 12 persone, in parte di origine centrafricana di età tra i 20 e i 25 anni. È stato invece arrestato un italiano di 19 anni per resistenza a pubblico ufficiale».

Sentiti dal Post, i Carabinieri hanno fatto sapere inoltre che al momento attuale non sarebbe in corso alcuna indagine interna per fare chiarezza sulla condotta dei militari, neanche per appurare la causa per cui una giovane ragazza sia finita in ospedale con traumi alla testa e 5 giorni di prognosi. La stessa giovane che nei video appare brutalmente colpita più volte dai manganelli dei Carabinieri.

I media e la macchina dell’odio

Sui social i video della brutalità dei militari, invece, corrono veloce; i giovani li condividono in massa sui propri profili perchè le immagini non lasciano scampo a dubbi. L’indignazione e la rabbia dominano le reazioni a caldo di chi si imbatte in quei video di violenza gratuita ma a poco a poco si fa strada anche una riflessione più inquietante che si impone a mente fredda: se non ci fossero stati quei video, avremmo creduto tutti alla versione del Corriere? Molto probabilmente sì, ci saremmo bevuti tutti la storia del gruppo di sbandati, stranieri e disadattati, ubriachi e violenti che hanno aggredito le forze dell’ordine, le quali giustamente hanno reagito svolgendo solo “il proprio dovere”. Per fortuna oggi quei video li abbiamo, ma quante volte e per quanti eventi simili ci è stata spacciata per verità una versione distorta dei fatti?

Nei giorni scorsi i giornali come il Corriere della Sera non hanno lavorato per i propri lettori, non hanno assolto il proprio dovere essenziale di informare chi non può farlo da sé, ma si sono seduti comodamente su quella macchina dell’odio e dell’intolleranza che tanto piace guidare ad alcuni partiti politici e che, come in un circolo vizioso, trova il proprio carburante in atti violenti e razzisti come quello compiuto domenica dai Carabinieri.

Infine, la speranza è che quei video possano essere utilizzati dalla magistratura per accertare le responsabilità di chi ha usato violenza e che quelle immagini possano muovere finalmente il Parlamento, a 20 anni dai tragici eventi del G8 di Genova, a varare una legge che introduca i codici identificativi per le forze dell’ordine. È una questione di giustizia, di sicurezza e di civiltà. Come ci difendiamo, afferma @riphuda nel suo video-denuncia, quando chi dovrebbe proteggerci è lo stesso che commette il crimine?