La Disney nell’era del politically correct
La Disney nell’era del politically correct

La Disney nell’era del politically correct

La Disney nell’era del politically correct

The Walt Disney Company, ai più conosciuta come Disney, è una delle multinazionali statunitensi più famose al mondo, fondata da Walt e Roy Disney. Quello che nacque come uno studio di animazione è diventato con il tempo un vero e proprio impero, con incassi annui sempre maggiori e sopra le aspettative, sia dal punto di vista cinematografico sia per i parchi a tema: è stata la prima azienda a produrre un film che superasse i 10 miliardi di dollari al botteghino, il 33% degli incassi di tutto il 2019.

L’opinione dei fan

Negli ultimi anni sono state più volte sotto i riflettori alcune scelte prese dall’azienda, la quale si è impegnata per essere quanto più possibile politically correct, adeguando i remake dei classici alle esigenze del periodo storico in cui viviamo, provocando non poche polemiche e dividendo il pubblico in diverse scuole di pensiero: i “puristi”, coloro i quali non solo ritengono inaccettabile qualsiasi cambiamento venga fatto agli originali Disney ma anche inopportune le modifiche su film e personaggi (come la scomparsa dei corvi in “Dumbo”, poiché ritenuti personaggi stereotipati degli afroamericani) poiché evidenziano delle differenze che non erano evidenti, soprattutto per un pubblico di bambini, e che spesso venivano rimosse dal doppiaggio; l’altra faccia della medaglia è composta, invece, da chi accetta il cambiamento, lo apprezza e sottolinea lo sforzo che viene fatto al fine di rappresentare il più verosimilmente possibile la società odierna, impegno, questo, che viene portato avanti dalla Disney nei film prodotti già dal 2010, come “Zootropolis”.

L’opinione pubblica pende di più sul voler lasciare intatti i film della collana dei “Classici”, con aspri commenti sulla decisione di vedere la fata madrina di Cenerentola genderless nel live action interpretat* da Billy Porter, oppure di affidare ad Halle Bailey, attrice dalle origini afroamericane, la parte di Ariel nel live action de “La Sirenetta”. In entrambi casi il pubblico appare confuso, poiché, al di là dei commenti ingiustamente razzisti e provocatori, c’è chi si domanda perché un film ambientato in Danimarca, con la protagonista dagli evidenti tratti somatici caucasici, debba cambiare ambientazione e personaggi. A questi commenti la Disney non ha mai risposto, sebbene la linea intrapresa dall’azienda fosse già evidente con il remake de “La Bella e la Bestia”, dove è stata tralasciata l’incongruenza storica dovuta a dei personaggi afroamericani perfettamente inclusi in una società ottocentesca ed è stata, invece, inserita velatamente una storia d’amore omosessuale.

Quello che appare razzista sulla piattaforma Disney+

«Questo programma include rappresentazioni negative e/o maltrattamenti di persone o culture. Questi stereotipi erano sbagliati allora e sono sbagliati adesso. Piuttosto che rimuovere questo contenuto, vogliamo riconoscerne l’impatto dannoso, imparare da esso e stimolare la conversazione per creare un futuro più inclusivo insieme. Disney si impegna a creare storie con temi ispiratori e ambiziosi che riflettano la ricca diversità dell’esperienza umana in tutto il mondo».

Quanto qui riportato è ciò che appare nella schermata di apertura di alcuni lungometraggi presenti nella piattaforma Disney+. I film incriminati, oltre il già citato “Dumbo”, sono alcuni tra i più amati dai bambini di ieri e di oggi, tra cui “Lilli e il Vagabondo” e “Gli Aristogatti”, entrambi oggetto di critica poiché rappresenterebbero dei personaggi che stereotipano la cultura cinese, nonostante nel doppiaggio, anche in questo caso, tutto ciò non venga riportato: quello che i bambini possono percepire è solo che, nel caso del film sui due cagnolini, i gatti sono dispettosi. Altro film nel mirino è “Peter Pan”, dove gli indiani sono chiamati “pellerossa” e vengono rappresentati con abiti tradizionali mentre parlano una lingua incomprensibile, e anche in questo caso il pubblico è rimasto perplesso quando è stato etichettato come film razzista.

Un nuovo modo di contribuire allo sviluppo

Quel che la Disney sta cercando di fare, seppur con delle contraddizioni, è di contribuire alla formazione delle nuove generazioni con messaggi d’inclusione molto forti e anche insegnamenti che vanno al di là della morale presente in ogni fiaba. La sensibilizzazione in una società che sprofonda infelicemente verso il razzismo non è mai troppa, per questo l’evoluzione sociale dovrebbe imparare dagli errori del passato incentivando la riflessione: questa dovrebbe essere la chiave di lettura del messaggio proposto dalla multinazionale americana. I film ritenuti razzisti non sono stati eliminati, chiunque può vederli nella versione originale senza alcuna censura, ma si potrebbe far riflettere i più piccoli su cosa sia giusto e su cosa non lo sia, rendendo un momento di svago un’occasione per imparare.