La Corea del Sud nel mondo: musica, cinema e soft power
La Corea del Sud nel mondo: musica, cinema e soft power

La Corea del Sud nel mondo: musica, cinema e soft power

La Corea del Sud nel mondo: musica, cinema e soft power

Secondo la definizione fornita dalla Treccani, l’espressione “soft power“, coniata negli anni Novanta del XX secolo dallo scienziato politico statunitense Joseph Nye, definisce l’abilità nel creare il consenso attraverso la persuasione e non la coercizione. Per definizione è quindi “il potenziale d’attrazione di una nazione, che non è rappresentato esclusivamente dalla sua forza economica e militare, ma si alimenta attraverso la diffusione della propria cultura e dei valori storici fondativi di riferimento”.

Non sono pochi i Paesi che, nell’arco della storia, hanno deciso di investire sul proprio potere culturale, riportando spesso anche risultati non proprio sperati. Negli ultimi tempi, uno degli Stati che si è speso di più in questi termini è stata la Corea del Sud, con esiti, ad oggi, travolgenti. 

Esportare la Corea nel mondo

L’exploit coreano ha abbracciato, grazie agli investimenti di miliardi di dollari, vari settori, dalla moda, alla musica passando per il cinema. Il Paese dell’estremo oriente è diventato uno dei più rilevanti al mondo e attualmente il fenomeno non ha mostrato cenni di rallentamento.

Proprio per questo si parla sempre più spesso della hallyu coreana ovvero l’ “ondata” di polarità del Paese (un concetto non troppo diverso dalla più celebre nouvelle vague francese). I suoi inizi possono essere fatti risalire alla metà degli anni ‘90 quando la Corea del Sud si ritrova a dover uscire da una crisi finanziaria devastante e a dover fare i conti con un problema di reputazione globale.

Queste sono le motivazioni che hanno spinto Seoul a creare una vera e propria divisione della Cultura popolare all’interno del Ministero della Cultura il cui obbiettivo è quello di investire circa l’1% del PIL nazionale nelle industrie culturali; una scelta che si è rivelata effettivamente vincente.

Come viene sottolineato dalla BBC : «il  governo ha preso di mira l’esportazione della cultura popolare attraverso i media come una nuova iniziativa economica, una delle principali fonti di entrate estere vitali per la sopravvivenza e il progresso economico del Paese». Lo scopo è chiaro, in due parole: soft power.

Non è un caso che proprio negli anni in cui nacque la cosiddetta “Ondata Coreana”, intorno al 1997, si siano dunque affermati due dei settori trainanti: le Korean Dramas (K-Drama) e il Korean pop (K-pop). Con il passare del tempo, complice anche l’emblematica modernizzazione tecnologica, si sono affiancati diversi altri settori, tra cui l’industria culinaria (la Corea del Sud è famosa per il suo street food), l’industria cosmetica e della moda, a cui hanno contribuito in larga misura il diffondersi di piattaforme online come YouTube.

È proprio grazie a quest’ultimo se la Corea ha deciso di puntare sull’industria musicale che da decenni è caratterizzata da un mix di generi musicali spesso rivisitati. Nei primi anni Novanta fu il turno dell’hip hop, dell’hard rock e della techno, che aprirono la strada al K-pop, in grado di dominare la scena underground coreana fino al successo mondiale conosciuto dal 2003 in poi, anche grazie e soprattutto alla comparsa degli idol.

Dalla Billboard agli Oscar

Il successo planetario del genere è stato innescato senza dubbio da PSY quando nel 2012 il suo Gangnam Style divenne il primo video nella storia di Youtube a superare il miliardo di visualizzazioni. Successivamente, cavalcando l’onda, I BTS sono risultati essere le celebrità più citate su twitter nel corso del 2017 e hanno conquistato il miglior piazzamento di sempre per un disco K-Pop nella classifica del settimanale americano Billboard.

Il successo della cultura coreana ha abbracciato anche il settore cinematografico: proprio la super-piattaforma americana Netflix in un comunicato ha ribadito, all’inizio dell’anno, il proprio interesse nel voler espandere il proprio catalogo multimediale e il proprio investimento in contenuti a tema; tale mossa si è rilevata alla fine vincente, basti pensare al clamoroso successo avuto dalla serie Squid Game, che attualmente risulta essere la serie più vista in streaming.  

L’entusiasmo ha coinvolto anche Hollywood; lo dimostra il fatto che le ultime due stagioni degli Academy Awards sono state dominate dal clamore ed interesse sollevato da film come Parasite di Bong Joon, il quale si è aggiudicato la statuetta d’oro per la miglior pellicola in gara, e più recentemente Minari che per la prima volta è valsa l’oscar come attrice non protagonista alla coreana Yoon Yeo-jeong.

Un esempio palpabile dell’esportazione di questo brand, in termini numerici, è stato riscontrato anche nel numero di studenti di lingua coreana: soltanto negli Stati Uniti, nel corso di un ventennio gli studenti di coreano sono passati da 163 a circa 14mila.  

L’impatto smisurato che ha avuto non solo in Asia ma in tutto il mondo, rende la Corea del Sud una “tigre” del soft power in grado di competere persino con la vicina Cina, potenza certamente economica ma incapace, a causa della sua rigidità politica, di rivaleggiare con Seoul negli stessi settori. Tutto ciò dimostra, infine, anche come la Corea del Sud, al centro di un’area delicata dal punto di vista geopolitico, abbia saputo trovare la ricetta giusta per far parlare di sé al resto del mondo.