Pio e Amedeo: quanto contano le parole?
Pio e Amedeo: quanto contano le parole?

Pio e Amedeo: quanto contano le parole?

Pio e Amedeo: quanto contano le parole?

Il 30 aprile scorso è andata in onda la terza e ultima puntata di “Felicissima sera”, lo show targato Mediaset, ideato e condotto dal duo comico Pio e Amedeo. Nessuno si sarebbe mai fermato a discutere delle loro performance se si fossero limitati a fare quello che fanno in continuazione: battute da quinta elementare, prendendo di mira il collo di Maurizio Costanzo, la testa pelata di Rudy Zerbi, la vita sentimentale di Stefano de Martino. D’altra parte, non ci potremmo aspettare altro da chi afferma di aver costruito una carriera sul catcalling, lamentando che ora «non si possono più stoppare le femmine per strada», come se “le femmine” da “stoppare” fossero taxi da prendere al volo o un pallone in area di rigore.

In realtà non potremmo neanche condannarli per questo, considerando che molte persone ritengono la loro comicità un faro nella notte buia delle nostre vite ormai prive di momenti goliardici, per cui possiamo solo alzare le mani. Il vero problema è quando Pio e Amedeo vogliono spiegarci il politicamente corretto attraverso affermazioni forti e parole che normalmente dovrebbero essere riprese e censurate. Parole, come la n*word e la f*word vengono, invece, pronunciate con grande orgoglio, tanto da annunciare, la sera prima dello show, con tanto di intervista, la necessità di pronunciare queste parole per “combattere” chi vorrebbe continuare ad adottare il cosiddetto politicamente corretto.

Ma questa era solo la premessa, perché venerdì sera arriva il bello: il monologo. Il ragionamento chiave su cui è incardinata tutta la filosofia del duo è racchiuso in questo passaggio: «Ci vogliono far credere che la civiltà sta nella lingua, nelle parole, ma è tutto qua nella testa. Fino a quando non ci cureremo dall’ignoranza di quelli che dicono ricch****, f****, gay, n**** e nero, con fare dispregiativo- che è quello il problema- ci resta un’unica soluzione: l’autoironia. Perché se l’ignoranza è come il Covid19, l’autoironia è il nostro unico vaccino». In sostanza il loro discorso ruota intorno alla considerazione per cui, all’interno di qualsiasi conversazione, le parole citate sopra non devono avere un peso, se l’intenzione è buona. Ciò che deve essere condannato riguarda chi pronuncia quelle parole con fare dispregiativo, “che è quello il problema”.

L’autoironia ma… in che senso?

Il duo ci offre persino una soluzione: l’autoironia. Tutti ad applaudire e a commentare il monologo postato sulla loro pagina con cenni di approvazione. È molto chiaro che il duo comico non abbia nessun tipo di relazione o esperienza con ciò di cui stanno parlando, ma il loro è solo un modo per giustificare chi continua (sbagliando) a utilizzare queste espressioni con “fare positivo”.

Il punto è che l’autoironia non è un giubbotto antiproiettile: se si viene costantemente insultati all’interno di istituzioni che dovrebbero rappresentare un porto sicuro, come la famiglia o la scuola, ma anche in contesti meno istituzionali, come il tuo gruppo di amici o perfetti sconosciuti, in cui si è costretti a vivere, non è proprio così semplice rispondere con il sorriso e far finta che vada tutto bene. È facile offrire consigli guardando le situazioni dall’alto, come “forestieri della vita” per citare Pirandello: in questo caso, non avendo costruito relazioni con questi mondi, è anche abbastanza complicato (se non impossibile) riuscire a comprenderne la complessità e offrire consigli sul come difendersi. La prova è la timeline di Twitter, che dopo il monologo si è riempita di esperienze tristi e a dir poco sconcertanti di chi ha cercato di rispondere “con autoironia” agli insulti sopracitati. Ne riportiamo uno:

«Sapete, Pio e Amedeo, io a 24 anni ho sorriso a chi mi ha urlato “frocio di merda”, durante una fiera, mentre ero con i miei amici. Poi mi sono ritrovato in un’ambulanza, poi all’ospedale. Però ho sorriso eh…».

Fonte: Twitter

L’autoironia è un modo per esorcizzare una situazione scomoda per sé stessi, ma è una scelta totalmente libera, compiuta dal soggetto che vuole esercitarla: perché ci si deve imporre di fare autoironia su un insulto mirato e giustificare sempre, con fare compassionevole, chi non ha consapevolezza delle proprie parole, ridendoci su?

Dannate intenzioni…

A quanto pare, da esperti di sociolinguistica, Pio e Amedeo affrontano il tema del linguaggio, soprassedendo sulla scelta delle parole e concentrandosi sull’intenzione. Ne sono già state dette tante, è inutile spiegare loro che sono proprio le definizioni attraverso le parole che plasmano il mondo in cui viviamo e che ci sono studiosi e linguisti che hanno dedicato i loro studi al legame che sussiste tra l’uso della parola e le ripercussioni sulla società e sul potere. Poi magari ci illustreranno nel loro prossimo monologo i loro studi linguistici sull’estraneità della parola rispetto alla civiltà.