L’Italia finanzierà ancora la Guardia Costiera e i lager in Libia
L’Italia finanzierà ancora la Guardia Costiera e i lager in Libia

L’Italia finanzierà ancora la Guardia Costiera e i lager in Libia

L’Italia finanzierà ancora la Guardia Costiera e i lager in Libia

La Camera dei Deputati ha rinnovato i finanziamenti alla Guardia Costiera libica.

La notizia era prevista in questi giorni ed infatti non si è fatta attendere. Con questo provvedimento l’Italia prosegue il suo operato che la vede da anni impegnata nell’addestramento ed equipaggiamento del personale di pattugliamento libico, in cambio dell’azione svolta dalla Libia (grazie ai mezzi e all’addestramento fornito) per arginare i flussi migratori verso le coste italiane. A favore della mozione ha votato un’ampia maggioranza di deputati, con solo tre contrari e tre astenuti. Poco prima, i parlamentari del PD, M5S, LEU e +Europa avevano chiesto la chiusura della missione, poiché la stessa avrebbe comportato il sostegno diretto e indiretto alla deportazione di uomini, donne e bambini nei centri di detenzione in Libia, luoghi in cui sono stati denunciate più volte gravissime violazioni dei diritti umani tali da guadagnarsi l’appellativo di “lager”. Tuttavia, la risoluzione è stata bocciata e per il 2021, dunque, il governo prevede di rifinanziare le azioni svolte in Libia con 10,5 milioni di euro, la cifra più alta mai stanziata.

Il tema è stato molto discusso in questi giorni: il PD ha approvato il rifinanziamento, ma soltanto dopo l’approvazione di un emendamento che prevede “il superamento della suddetta missione” per il 2022 e il trasferimento della responsabilità di addestrare la Guardia Costiera libica alla missione militare IRINI dell’Unione europea (attiva dalla primavera del 2020). La suddetta missione ha lo scopo di far rispettare l’embargo delle armi voluto dall’ONU ma per essere agibile ha bisogno di trovare un accordo con il nuovo Governo di Unità Nazionale guidato da Dbeibah, insediatosi solo 4 mesi fa.

La situazione attuale in Libia

L’intervento italiano in Libia volto a fermare i flussi migratori è incerto e in continuo mutamento. Fino ad un anno fa il Parlamento italiano aveva messo a disposizione le navi della Marina Militare stanziate a Tripoli che fungevano di fatto da coordinamento della Guardia Costiera libica. Oggi, invece, è la Turchia di Erdogan a rappresentare un attore sempre più stabile e forte in Libia, da quando ha fornito assistenza alla Tripolitania, durante la guerra civile, nella lotta contro il comandante Haftar, chiudendo una delle fasi più buie della storia del Paese. A partire dalle primavere arabe del 2011 e dalla fine della dittatura di Gheddafi, la Libia, infatti, si è trovata a combattere una tremenda guerra civile che ne ha dilaniato il territorio e straziato una popolazione che solo oggi prova, non senza difficoltà, a ritrovare la via della pace. In questo contesto la Turchia ha ormai preso il controllo della Guardia Costiera libica, imponendo un’influenza strategica che risulta pericolosa per l’intera Europa. Erdogan controllerebbe di fatto non solo i flussi migratori del Mediterraneo orientale -per cui l’Unione europea finanza direttamente la Turchia– ma anche quelli che partono dalla Tunisia o dalla Libia fino ad arrivare in Italia e che costituiscono una delle rotte più pericolose.

Il problema è innanzitutto umanitario: le intercettazioni in zona SAR (Search and Rescue)- ovvero quelle porzioni di mare in cui il lo Stato che le controlla ha il dovere di agire per operazioni di salvataggio- da parte di un Paese il cui porto non è considerato sicuro sono pratiche illegali secondo il diritto internazionale dei mari. Come se non bastasse, poi, la Guardia Costiera libica utilizza metodi brutali per bloccare i flussi, sparando deliberatamente ai migranti in mare. Inoltre, una volta intercettati e fatti sbarcare in territorio libico, i migranti vengono trattenuti illegalmente e a tempo indeterminato nei centri di detenzione. Le condizioni di vita continuano ad essere disumane: le persone subiscono stupri, torture e vengono ridotte in condizioni schiavistiche. ll numero dei detenuti è cresciuto esponenzialmente negli ultimi mesi.

Stanziando milioni di euro per il controllo dei confini terrestri e marittimi del Paese, l’Italia si è resa corresponsabile per le violazioni di diritti umani e gli abusi commessi. In una memoria firmata da diverse organizzazioni che operano in loco e da Human Rights Watch, viene trasmesso a Deputati e Senatori membri delle commissioni interessate l’urgenza di modificare i termini della cooperazione con la Libia.

Il contributo italiano

Dal 2017, attraverso il Decreto Minniti, l’Italia si è impegnata a finanziare la cooperazione di Organizzazioni Non Governative (ONG), le quali hanno il compito di controllare i centri di detenzione, gli stessi che sono già stati descritti come “Inferno Libico”. In audizione alle commissioni congiunte esteri e difesa di Camera e Senato, diverse ONG come ActionAid, Amnesty International e Medici senza Frontiere hanno lanciato un appello: «l’Italia abbandoni le politiche di deterrenza e contenimento e si concentri piuttosto sulla salvaguardia e protezione di uomini donne e bambini nel rispetto dei loro diritti umani».

In occasione della nuova autorizzazione di finanziamento, un settore del Parlamento (34 deputati) ha chiesto la fine di questi accordi che prevedono la messa a disposizioni di fondi, equipaggiamenti e addestramento. L’ipotesi di tagliare completamente i rapporti con la Libia però non porterebbe i risultati sperati, come dimostra l’esempio dell’Afghanistan. La soluzione auspicabile sarebbe invece quella di legare il sostegno economico ad un cambiamento nella gestione dei migranti. Ciò significherebbe aprire i campi di detenzione a ispezioni di ONG o agenzie delle Nazioni Unite, trasferire la responsabilità di questi a organismi internazionali, imporre standard operativi alla Guardie Costiera libica, nonché incentivi e punizioni a seconda di successi e/o trasgressioni.

La motovedetta libica che spara sui migranti caduti in mare oppure che cerca di speronare un barcone stracarico di persone sono solo esempi lampanti degli abusi perpetuati ormai da anni e a cui devono necessariamente seguire sanzioni economiche e diplomatiche da parte dell’UE e dell’intera comunità internazionale, non devono essere ricompensate con nuovi finanziamenti. L’Italia, prendendo una posizione netta sulla cooperazione in Libia, farebbe così da apripista alle relazioni libiche con l’Europa, che fino ad ora si è sempre dimostrata inconcludente e poco interessata alla gestione partecipata e alternativa (con una parola: più “umana”) dei flussi di persone che scappano da condizioni disperate.