L’inferno nella Città Santa: cosa succede a Gerusalemme?
L’inferno nella Città Santa: cosa succede a Gerusalemme?

L’inferno nella Città Santa: cosa succede a Gerusalemme?

L’inferno nella Città Santa: cosa succede a Gerusalemme?

La città di Gerusalemme è da qualche giorno nuovamente investita da violentissimi scontri. Sin dal secondo dopoguerra l’area geografica in questione è stata al centro di azioni repressive attuate dalle autorità israeliane ai danni dei palestinesi, la cui presenza sul territorio è da allora minacciata. Inoltre, l’influenza delle ex potenze coloniali (Francia e Gran Bretagna in primis), nonché degli Stati Uniti e dell’Unione Sovietica, ha fatto sì che, ad oggi, la questione palestinese sia di fatto diventata una delle sfide internazionali più complesse da affrontare e con essa quella più specifica di Gerusalemme.

Le ragioni delle violenze

Gli eventi hanno interessato prevalentemente l’area est di Gerusalemme (abitata in gran parte da palestinesi) e da anni epicentro di attriti e violenze tra la componente araba e la fazione più estremista e intransigente israeliana. Sin dalla fine di aprile, le tensioni erano già nell’aria, da quando centinaia di suprematisti israeliani hanno organizzato una marcia tra i quartieri palestinesi in cui avevano più volte urlato “a morte gli arabi”. In più, le forze dell’ordine israeliane erano state più volte accusate di aver impedito i regolari incontri serali in occasione del Ramadan.

Proprio il Ramadan assume un ruolo chiave nell’innescarsi delle proteste, in quanto, lo scorso fine settimana, a molti palestinesi era stato impedito dalle autorità israeliane di riunirsi in preghiera nella Moschea di al-Aqsa per celebrare la cosiddetta “Notte del Destino,” la notte più sacra nel mese del Ramadan. In più, la comunità palestinese si era riunita per protestare contro una marcia israeliana nazionalista, considerata una vera e propria provocazione: essa, infatti, avrebbe dovuto celebrare la conquista della parte est di Gerusalemme, avvenuta nella Guerra dei Sei Giorni del 1967 da parte degli israeliani. 

La questione di Gerusalemme Est

Le proteste dei palestinesi di queste ore sono caratterizzate, inoltre, da ulteriori ragioni socioculturali e politiche: diverse famiglie palestinesi, residenti nello storico quartiere di Sheikh Jarrah, a Gerusalemme Est, potrebbero essere sfrattate. Il quartiere ha una lunga storia alle spalle ed è attualmente sede di molteplici consolati esteri, nonché della FAO e della Croce Rossa. Inoltre, da decenni è al centro di una disputa che si combatte nei tribunali israeliani e dai quali le forze coloniali continuano ad uscirne costantemente vincitrici.

Sin dalla fine della Guerra dei Sei Giorni, infatti, quando la Giordania perse il controllo della c.d “Cisgiordania” nella quale rientrava anche Gerusalemme Est, la parte orientale della città divenne di fatto parte dei territori palestinesi occupati, il cui regime vige ancora oggi secondo la Risoluzione 242 dell’ONU visto che le forze israeliane si sono sempre rifiutate di ritirarsi. L’obiettivo finale sarebbe dunque quello di sfrattare i palestinesi, con mezzi più o meno legali e/o violenti, al fine di favorire la presenza dei coloni israeliani e acquisire così maggior controllo su quei quartieri abitati oggi da circa 250.000 palestinesi (più della metà della popolazione di Gerusalemme Est)

La legge israeliana, peraltro, è apertamente in favore dei diritti della comunità ebraica, dal momento che consente soltanto ai suoi membri di rivendicare proprietà possedute prima del 1948 (anno di istituzione dello Stato di Israele), negando al contempo lo stesso diritto ai palestinesi. Va detto, infatti, che, al momento della costituzione dello Stato ebraico, migliaia di palestinesi vennero espulsi dalla parte Ovest di Gerusalemme e quindi costretti a spostarsi nella parte orientale allora sotto la sovranità giordana. Oggi lo stesso sta avvenendo anche a Gerusalemme Est, fatto che dimostra la volontà politica di Israele di allontanare del tutto la comunità palestinese dalla Città Santa.

Il tutto avverrebbe, poi, con la complicità di attori stranieri: da un lato, infatti, sembrerebbe che il gruppo di coloni israeliani di Ateret Cohanim godrebbe di ingenti finanziamenti esteri, mentre dall’altro si evince che un’organizzazione statunitense, Nahalat Shimon International, sarebbe in qualche modo promotore del processo legale in favore degli sfratti a Gerusalemme Est.

Una nuova Intifada?

La situazione è attualmente in costante evoluzione e non è facile prevedere cosa potrebbe accadere nei prossimi giorni, sebbene gli eventi destino una certa preoccupazione nella comunità internazionale; simili episodi non si verificavano dal 2014, anno in cui è scoppiata una vera e propria guerra. Il leader di Hamas (il movimento islamico per la resistenza), Ismail Haniyeh, ha dichiarato che siamo effettivamente di fronte a una nuova Intifada che non va in alcun modo ostacolata, aggiungendo inoltre che il Premier israeliano «starebbe giocando con il fuoco».

Gerusalemme intanto è nuovamente teatro di guerra: in seguito a un precedente lancio di razzi sulla città da parte di Hamas, Israele ha sferrato una controffensiva sulla Striscia di Gaza in cui sarebbero morte almeno venti persone. La sensazione è che potremmo essere di fronte solo alla prima fase di un’escalation dalle conseguenze imprevedibili.

Nelle scorse ore sia l’Unione europea che gli Stati Uniti hanno invitato alla calma, pur omettendo il proprio ruolo nella vicenda. L’azione dell’ONU, d’altro canto, è tutt’altro che sufficiente, limitandosi a ripetere che tutte le azioni di sfratto sono illegali secondo il diritto internazionale. Ciononostante, la comunità palestinese continua a soffrire, nell’indifferenza e con la complicità della comunità internazionale.