L’etnocentrismo e la famiglia
L’etnocentrismo e la famiglia

L’etnocentrismo e la famiglia

L’etnocentrismo e la famiglia

Per parlare del concetto antropologico di famiglia è necessario partire dall’etnocentrismo occidentale. Il tema delle parentele è molto caro agli antropologi, soprattutto per scardinare l’idea di “normalità” relativa a un solo tipo di famiglia, ossia quella definita “nucleare” da Murdock. Questo archetipo riporta all’associazione immediata con la famiglia ironicamente detta “del Mulino Bianco”: una madre e un padre, legati da un rapporto coniugale, e i rispettivi figli, uniti da un rapporto di fratellanza. Peccato che questa percezione della famiglia si riferisca, appunto, all’Occidente, che ha l’abitudine imperturbabile di normalizzare quella che è la propria cultura attraverso un processo di universalizzazione: la filosofia occidentale è “la filosofia”, la storia occidentale è “la storia”, il cibo occidentale è “il cibo”, la letteratura occidentale è “la letteratura”. Persino un grande filosofo come Hegel ha definito l’Europa come «il continente dello spirito unificato in sé» e l’Africa come un posto in cui l’uomo «resta fermo» e non è capace di evolversi. Fortunatamente, ricerche sul campo in ambito antropologico ed etnografico hanno dimostrato come il concetto di normalità sia del tutto relativo, soprattutto riguardo alla questione delle famiglie. 

Famiglia o famiglie? 

La famiglia, come anticipato, è composta da individui legati da un tipo di rapporto specifico: padre e madre mantengono un rapporto coniugale, genitori e figli sono uniti da un rapporto di filiazione e i figli, tra di loro, sono connessi da un rapporto di fratellanza. Ma siamo sicuri che la famiglia così composta sia quella “normale”? Nel suo libroContro natura, l’antropologo Francesco Remotti elabora vari studi antropologici attraverso cui dimostra che questo tipo di famiglia, basato sulla monogamia e considerato basilare per il Cristianesimo, è in realtà un tipo di famiglia, non l’unico e non il più “moderno” in termini evoluzionistici. Murdock la chiama “famiglia nucleare”, la quale è una specie di atomo, una base, una struttura fondamentale grazie alla quale si creano le famiglie ‘composite’. Per Murdock la famiglia nucleare è un modello universale valido in ogni circostanza e giusto per tutti gli individui nel mondo. E se mancasse la figura del padre? E se non ci fossero figli? E se ci fossero più madri? Come afferma Wittgenstein, la famiglia si dovrebbe osservare, in realtà, più che definire: egli considera i diversi tipi di famiglie come fibre che si sovrappongono, e, per questo, ritiene che pronunciare la frase “Questa è la famiglia” riduca la complessità che esiste attorno a questo tema a una sentenza parziale ed esclusiva. 

A proposito di complessità, in varie culture esiste la poligamia, una struttura familiare in cui possono esistere e convivere più mogli (poliginia) o più mariti (poliandria). Ad esempio, la poliginia può essere di diversi tipi: la poliginia sororale fa riferimento alla solidarietà tra le mogli che sono sorelle e abitano nella stessa abitazione, mentre la poliginia basata sul principio della ricchezza si fonda invece sulla competizione tra le mogli, le quali mantengono una propria autonomia insieme al rispettivo nucleo abitativo. Remotti riflette inoltre sul tema del tempo: in primo luogo, tra la monogamia e la poligamia esiste un terzo livello che si colloca nel mezzo, quello dei matrimoni plurimi, chiamato poligamia seriale o successiva, che si verifica a causa della vedovanza o del divorzio. L’unico elemento per il quale questo caso differisce dalla poligamia “pura” è il tempo: non c’è simultaneità di rapporti, però un individuo si unisce a più compagni nell’arco della propria vita, anche se in momenti diversi. In secondo luogo, l’antropologo tratta l’indissolubilità: per la Chiesa cattolica il matrimonio è indissolubile, tanto che può spezzarsi solo con la morte. Ma se l’indissolubilità non fosse legata obbligatoriamente al matrimonio? Ad esempio, gli Inuit dell’Alaska non hanno un rito matrimoniale specifico: per loro il legame indissolubile si crea quando due soggetti decidono di convivere e di avere rapporti sessuali. Se per loro non esiste quindi il matrimonio, non esiste neanche il divorzio: non c’è una procedura formalizzata che sancisce l’interruzione del vincolo, semplicemente si interrompe la convivenza e si cessano i rapporti sessuali. È interessante come questo tipo di rapporto venga definito indissolubile perché una volta creato, non può più distruggersi: quando ci si separa, il rapporto viene disattivato (Burch), ma può essere sempre potenzialmente riattivabile, anche se si decidesse di creare legami “stabili” con altre persone. Infatti, due individui che sono stati ui e nuliaq (per noi marito e moglie) lo saranno per sempre, anche se dovessero diventare ui o nuliaq di qualcun altro; non è un caso che presso questa popolazione ci siano matrimoni plurimi coesistenti o che esistano co-mariti e co-mogli. 

Archetipi familiari differenti non appartengono solo ai modelli sociali dei Paesi sottosviluppati, come la nostra cultura ci ha abituati a credere. Viceversa, ci sono molte popolazioni, anche non occidentali, in cui la monogamia è uno dei principi fondamentali. È quindi importante discostarsi dalle associazioni evoluzionistiche secondo cui gli occidentali si collocano al vertice della piramide sociale in quanto “moderni” e il resto delle popolazioni, culture e tradizioni occupi il posto dei “primitivi”.

Cosa vuol dire famiglia naturale?

Tra le famiglie che potrebbero non essere considerate “famiglie” in senso occidentale ci sono, per esempio:

  • Il modello di poliandria fraterna dei Nyinba, una popolazione di origine tibetana, ma stanziata nel Nepal. Queste famiglie sono costituite dall’unione di un gruppo di fratelli con una sola moglie in cui è presente, secondo la studiosa Nancy Levine, una fortissima solidarietà tra fratelli;

  • tra i Nuer del Sudan si assiste a quella che noi potremmo chiamare “procreazione assistita”: una donna sterile è considerata un uomo, o meglio, tutti sanno che è una donna, ma la sua condizione sociale è equivalente a quella degli uomini, tanto che può decidere di prendere moglie. Non si tratta di un matrimonio omosessuale vero e proprio ma è come se lo fosse. L’aspetto più interessante relazionato a questa tipologia di famiglia riguarda i figli: la donna sterile procura un uomo a sua moglie con il solo scopo di procreare (l’uomo in questione verrà poi ricompensato con del bestiame), tanto che il ruolo del genitore legittimo spetta alla stessa donna sterile che sarà poi chiamata “padre” dai figli; 

  • per i Na dello Yunnan, la famiglia si basa sul legame tra fratelli e sorelle, ovvero la cosiddetta famiglia consanguinea, con l’esclusione totale dei rapporti sessuali (all’interno della famiglia), e quindi dell’incesto. A ogni membro della famiglia è concesso avere degli amanti con cui però costruiscono solo relazioni sessuali o sentimentali, ma non rapporti di convivenza o economici. 

Considerando gli esempi sopracitati estratti da Contro natura” di Francesco Remotti, possiamo trarre le seguenti conclusioni: la naturalità della famiglia del Mulino bianco è un’invenzione sociale, culturale e religiosa; la costituzione di un “gruppo domestico” esula dalle considerazioni etnocentriche; e ciò che conta nella fondazione di una famiglia sono i legami e le relazioni. Il 26 di settembre 2021, al referendum sui matrimoni gay in Svizzera ha vinto il “Sì”, con il 64% dei voti. Questo è un risultato importante che segna una nuovo slancio, anche in Europa, verso un cambio di paradigma, che possa scardinare la visione dogmatica della famiglia occidentale tradizionale, dando forma pratica alle teorie di Remotti.

Editing e fact checking a cura di Alice Spada