La “trappola” del Governo tecnico: da Monti a Draghi
Il Governo Draghi, insediatosi ormai più di 6 mesi fa, ha ricevuto sin dalla sua nascita diversi epiteti e appellativi, per la maggior parte derivati dalla narrazione giornalistica e televisiva: da “Governo dei migliori” a “Governo di unità nazionale”, solo per citarne un paio. Epiteti che hanno avuto -e ancora hanno- l’intento di evidenziare la straordinarietà dietro la sua formazione: una grande e disomogenea – per non dire instabile- maggioranza, a sostegno di Mario Draghi come Presidente del Consiglio dei Ministri, al cui interno troviamo quasi tutti i principali partiti politici, sia di centrodestra che di centrosinistra (tranne Fratelli d’Italia), riuniti, su richiesta del Presidente della Repubblica Sergio Mattarella, per far fronte alla crisi economica e pandemica scaturite dall’emergenza da Covid-19.
Il Governo Draghi è stato definito anche come “governo tecnico” in ragione del fatto che al suo interno operino, tra gli altri, diversi ministri non appartenenti a nessuna forza politica, espressioni della società civile: esperti di primo piano nel proprio settore, come la Ministra della Giustizia Marta Cartabia (ex Presidente della Corte Costituzionale), oppure il Ministro dell’Economia Daniele Franco (ex direttore generale della Banca d’Italia).
Una tale definizione ha portato ad inevitabili paragoni e confronti con il passato e in particolare con il più recente tra i governi tecnici della storia repubblicana ossia l’esecutivo guidato da Mario Monti, incaricato dall’allora Presidente della Repubblica Giorgio Napolitano nel novembre 2011 di formare un esecutivo di “emergenza”. Nonostante alcune similitudini, tuttavia ci sono nette differenze tra le due espressioni di governo, impossibili da comprimere e livellare nella mera categoria di esecutivi tecnici.
Monti e Draghi: alcune differenze
Come detto, il Governo Monti fu concepito come un governo di “emergenza”, in risposta alla crisi economica iniziata nel 2008 e per far fronte alla conseguente crescita incontrollata dello spread (si parlava di oltre 380 punti), innescata durante il precedente Governo Berlusconi IV, il quale non fu in grado però di porvi rimedio (con conseguenti dimissioni del Cavaliere).
A porre in evidenza le difficoltà e la situazione di pericolo nella quale versava Italia in quel momento, fu una lettera inviata dall’allora Presidente della BCE Jean- Claude Trichet (supportato proprio da Mario Draghi, allora Presidente uscente della Banca d’Italia). Tale corrispondenza era un insieme di raccomandazioni, rivolte al governo, e richieste per adottare provvedimenti ben mirati per un risanamento economico. La lettera venne considerata come il primo “intervento” diretto nell’economia di uno Stato membro e ciò sollevò molte polemiche da parte della classe dirigente e politica italiana.
Il Governo Monti, insediato il 16 novembre 2011 (dimissionario il 21 dicembre 2012, prima della fine naturale della legislatura) riporta, come prima differenza evidente rispetto al Governo Draghi, la presenza esclusiva di tecnici all’interno dell’esecutivo: Monti, nonostante fosse appoggiato da tutte le maggiori forze politiche dell’epoca, designò come ministri esclusivamente esperti e professionisti estranei alla politica e appartenenti alla società civile.
Un’altra evidenza sostanziale è la missione per cui i due esecutivi sono nati: il governo attuale ha il compito di organizzare e disporre nel migliore dei modi i fondi del Next Generation EU (gli aiuti messi a disposizione dall’UE per far fronte alla crisi in corso), attraverso l’attuazione del PNRR (il Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza).
Il governo di Monti ebbe invece un compito che potremmo definire “ingrato”: la crisi economica necessitava di interventi mirati nel tessuto economico italiano, come aumento delle tasse e pesanti tagli della spesa pubblica (per risparmiare ove possibile): un incarico che nel lungo- ma anche breve- termine ha portato a pesanti contestazioni e malumori nella popolazione, che si è sentita “schiacciata” dai gravosi provvedimenti fiscali. Monti, in realtà, non potè far altro che prendere atto della situazione “ereditata” dalle politiche pubbliche avventate del recente passato, ritenute la causa del dissesto, e agire di conseguenza (nell’immaginario collettivo il suo resterà “il governo del prendere”).
Il “governo tecnico”, per tale motivo, viene considerato il fallimento del sistema partitico nell’affrontare le problematiche del Paese. La dimostrazione dell’irresponsabilità di ampia parte della classe politica nazionale, disposta a lasciare campo libero ai “tecnici” solamente quando risulta necessario adottare provvedimenti impopolari e fuori da qualsiasi schema propagandistico, unicamente rivolti a cercare di migliorare la situazione di crisi. Scatterà la stessa trappola anche per il Governo Draghi, impegnato a combattere la doppia crisi sanitaria ed economica?