Khaby Lame ci ricorda ancora la necessità di riformare lo ius soli
Khaby Lame ci ricorda ancora la necessità di riformare lo ius soli

Khaby Lame ci ricorda ancora la necessità di riformare lo ius soli

Khaby Lame ci ricorda ancora la necessità di riformare lo ius soli

Tutti ne parlano e ne scrivono ultimamente, lui è Khaby Lame, un ragazzo italiano di 21 anni, nato in Senegal e cresciuto nella periferia torinese. È stato scritto bene: è un ragazzo italiano, anche se nome e cognome-direbbe qualcuno- non sono proprio tipici del Bel Paese. Da piccolo guardava i film di Checco Zalone e Will Smith e sognava di fare l’attore comico. È lui l’italiano più seguito al mondo sui social, tanto che conta oltre 18 milioni di seguaci su Instagram e 65 milioni su Tik Tok. Tutti questi numeri sono possibili grazie alla eterogenea nazionalità dei suoi followers.

Il successo di Khaby

La sua fama è dovuta però, paradossalmente, ad un momento di vulnerabilità personale per il ragazzo che, dopo aver perso il lavoro in fabbrica durante il primo lockdown, decise, per svagarsi e distrarsi, di scaricare Tik Tok, l’app più scaricata al mondo che consente di creare video creativi, di breve durata ma multi tematici.

Sulla sua pagina Tik tok ci dà il benvenuto scrivendo: «Se vuoi ridere sei nel posto giusto», i suoi video infatti, vedono l’uso della tecnica dello stitch, sono semplici, basati sulla sua mimica usata per prendere in giro alcune stravaganti soluzioni a problemi semplici, mettendo in risalto l’importanza e l’universalità del linguaggio del corpo. Da quando è diventato uno dei personaggi più famosi dei social, grazie alla viralità dei suoi video, ha ricevuto varie proposte di collaborazioni, tanto che il prossimo autunno andrà negli USA per girare un video con il suo idolo Will Smith.

La vicenda del tik toker italiano, oltre ai rimbalzi di cronaca per il primato social ottenuto, ha contribuito però a riportare in agenda anche il tema della cittadinanza e del ruolo politico che questa possiede. Khaby Lame, infatti, nonostante abbia tutti i requisiti per poter essere considerato cittadino italiano, per lo Stato non lo è.

Come si ottiene la cittadinanza italiana?

La cittadinanza indica uno status, il quale ci permette di godere a pieno dei diritti civili e politici. Attualmente la materia è ancora disciplinata dalla legge n.91 del 5 febbraio 1992, la quale prevede che la cittadinanza possa essere ottenuta tramite:

  • Ius sanguinis (la trasmissione della cittadinanza per discendenza diretta dai genitori);
  • Ius soli (per nascita sul territorio nazionale ma solo in alcuni casi particolari);
  • Matrimonio e naturalizzazione

L’ultimo punto è dovuto al mutamento demografico italiano che ha visto l’Italia diventare, a partite dagli anni ’90, un Paese di immigrazione. Per uno straniero, è possibile infatti, richiedere la cittadinanza italiana dopo 3 anni di matrimonio con un cittadino italiano, a patto che non ci siano questioni ostative all’ottenimento. La cittadinanza italiana, inoltre, può essere concessa allo straniero residente ininterrottamente sul suolo italiano per un periodo variabile: di 10 anni se extra comunitario e 4 se cittadino UE, lasciando ampi margini di discrezionalità giuridica.

I decreti sicurezza voluti dalla Lega di Matteo Salvini nel 2018, oltre a cambiare la nostra normativa sull’asilo, accoglienza e soccorso in mare, hanno posto ulteriori limiti alla naturalizzazione italiana che prevede anche un certo livello di conoscenza della lingua italiana (B1) e il possedere un reddito non inferiore agli 8-11 mila euro annui.

Negli ultimi mesi è tornata la polemica sopra la riforma ius soli, dopo il discorso del Segretario del Partito Democratico Enrico Letta all’assemblea nazionale del PD che aveva lo scopo di rilanciarne l’importanza, ma che ha finito invece per dividere la politica tra favorevoli e contrari. La destra italiana, infatti, non ha perso occasione per ribadire la sua visione di una riforma dello ius soli come “concessione facile della cittadinanza agli immigrati”.

Lo ius soli consente l’acquisizione della cittadinanza in un Paese come conseguenza dell’essere nati su quel suolo a prescindere dalla cittadinanza dei genitori. In Italia questo tipo di acquisizione si applica: se si è nati nel Paese da genitori apolidi, ignoti o che non possono trasmettere la propria cittadinanza ai figli per la legge dello Stato di provenienza. Inoltre, con riferimento ai c.d “immigrati di seconda generazione” ovvero tutti coloro nati in Italia da genitori stranieri immigrati nel nostro Paese, la legge prevede la possibilità di acquisire la cittadinanza italiana solo al compimento dei 18 anni (con una finestra di tempo di 1 anno per la richiesta) e solo dopo aver dimostrato di aver risieduto continuativamente in Italia.

Allo ius soli, c’è poi chi preferisce lo ius culturae, un istituto giuridico per cui i minori stranieri possono acquisire la cittadinanza del Paese in cui sono nati o in cui vivono da un certo numero di anni, a patto che nel Paese di cui si intende acquisire la cittadinanza abbiano frequentato le scuole o abbiano compiuto percorsi formativi ed educativi per un determinato numero di anni.

E negli altri Paesi UE?

Innanzitutto, c’è da dire che in nessuno dei paesi dell’Unione c’è la possibilità di ricorrere allo ius soli puro, pertanto i due criteri che permettono ad un cittadino extra UE risultano combinati nello ius soli e sanguinis. In Francia vige il doppio ius soli e per diventare cittadini francesi occorre anche aver risieduto continuativamente per 5 anni sul suolo francese. In Spagna, invece occorre essere stati residenti nel Paese per 10 anni, mentre se si sposa un cittadino spagnolo, occorrono solo 5 anni. In Portogallo la naturalizzazione avviene dopo 6 anni, mentre sono necessari 3 anni in caso di matrimonio o convivenza. In Belgio occorrono 10 anni di residenza, 3 anni in caso di matrimonio con un cittadino belga.

La questione dell’ottenimento della cittadinanza italiana rappresenta un dibattito che va avanti già da anni, ma che ha visto sempre un costante “braccio di ferro” tra destra e sinistra che ha prodotto una normativa ormai inadeguata, specchio di una società ostruita da un certo conservatorismo xenofobo. Il caso di Khaby Lame ha contribuito a rispolverare la questione, un compito solitamente “riservato” al mondo dello sport che vede costantemente diversi campioni non poter rappresentare l’Italia nelle competizioni internazionali a causa del mancato ottenimento della cittadinanza.

Riforma dello ius soli e culturae sono fondamentali in una società all’avanguardia, multiculturale ed egualitaria. Quando capiremo che è ora di superare questo inutile stallo discriminatorio?