Energia atomica: tra sostenibilità e fisica nucleare
Energia atomica: tra sostenibilità e fisica nucleare

Energia atomica: tra sostenibilità e fisica nucleare

Energia atomica: tra sostenibilità e fisica nucleare

Negli ultimi tempi, tra l’innalzarsi del prezzo dei biocombustibili e la corsa al carbon-free entro il 2050, pare si sia tornati a discutere di energia atomica e in particolare del nucleare come alternativa sostenibile, ma è davvero così?

L’energia atomica (o nucleare) viene liberata tramite un processo chiamato fissione, durante il quale nuclei pesanti (come quelli dell’uranio e del plutonio) vengono bombardati di neutroni e, per reazione, si dividono in due grossi frammenti di carica positiva. Questi poi si respingono e si allontanano con elevata energia cinetica.Il processo libera almeno altri due neutroni, che possono provocare a loro volta una serie di reazioni a catena. Il calore liberato dalle reazioni di fissione è impiegato poi per azionare una turbina, trasformandosi in energia meccanica rotatoria. Questa può essere convertita a sua volta in energia elettrica tramite un alternatore. Il funzionamento è piuttosto simile a quello delle centrali a gas o a carbone, ma il calore è prodotto dalla fissione nucleare anziché dalla combustione degli idrocarburi. L’intero processo permette la creazione di un ammontare sostanzioso di energia. Si pensi che la fissione di 1 grammo di uranio produce una quantità di energia ottenibile dalla combustione di circa 280kg di carbone!

Nucleare: sostenibile o carbon-free?

È evidente che l’energia nucleare rappresenta un’alternativa a basse emissioni di carbonio rispetto i combustibili fossili. In Europa viene utilizzata in 13 Paesi dei 27 Stati membri e rappresenta quasi il 26% dell’energia elettrica prodotta. Il nostro Paese non rientra tra questi. Tuttavia, nel 1966 l’Italia era il terzo produttore al mondo di energia nucleare, solo dopo USA e Inghilterra. In quegli anni venivano utilizzati tre reattori localizzati a Latina, Garigliano e Trino. In seguito al Referendum abrogativo del 1987 venne però abbandonato il ricorso all’energia nucleare con la conseguente chiusura delle centrali presenti sul territorio.

L’essere carbon-free, infatti, non assorbe le forti incertezze sull’energia nucleare radicate nella memoria dei due incidenti di Chernobyl e Fukushima. L’esplosione- avvenuta nella notte del 26 aprile 1986- del reattore nella centrale sovietica segna infatti l’inizio del declino del nucleare civile in Occidente. Solo dieci anni fa, invece, ricordiamo lo tsunami che l’11 marzo 2011 si è abbattuto sulle coste orientali del Giappone causando quello che oggi conosciamo come disastro di Fukushima Dai-ichi.

Gestire le scorie: quante e quali?

Il problema dell’energia nucleare, tuttavia, non riguarda solo la sicurezza delle centrali ma anche e soprattutto la gestione delle scorie. Tutte le attività che sfruttano energia atomica producono rifiuti radioattivi che costituiscono un pericolo per l’ambiente e la salute umana. Si pensi che circa il 90% dei rifiuti radioattivi è generato dalle centrali nucleari del mondo, mentre solo il restante 10% deriva da attività mediche, industriali o di ricerca scientifica.

I rifiuti radioattivi possono essere classificati in tre diversi livelli di radioattività: basso, medio e alto.

  1. Basso livello di radioattività: indumenti usa e getta impiegati nelle centrali nucleari. Si tratta del 90% dei rifiuti prodotti, ma contenenti solo l’1% della radioattività.
  2. Medio livello di radioattività: rivestimenti metallici col quale si avvolgono i combustibili nucleari prima di collocarli negli appositi spazi dei reattori (“incamiciatura”, nella tecnologia nucleare). Costituiscono il 7% del volume dei rifiuti radioattivi, ma contengono solo il 4% della radioattività.
  3. Alto livello di radioattività: le cosiddette scorie nucleari, ossia il combustibile esausto originato all’interno dai reattori durante il processo considerato in precedenza. Queste rappresentano il 3% del totale dei rifiuti, ma contengono il 95% della radioattività. I 436 reattori nucleari presenti nel mondo producono annualmente migliaia di tonnellate di scorie.

Per quanto riguarda la gestione dei rifiuti radioattivi di primo e secondo livello, si è deciso di confinarli all’interno di speciali depositi, progettati per resistere almeno tre secoli, provvisti di barriere artificiali per impedire alle radiazioni di diffondersi nell’ambiente. L’ultima categoria di rifiuti radioattivi, invece, rappresenta un vero e proprio problema sia per gli elevati livelli di radioattività che per i lunghissimi tempi di smaltimento (centinaia di milioni di anni). Attualmente questa tipologia di rifiuti viene accumulata in depositi provvisori o in speciali vasche di raffreddamento costruite accanto alle centrali.

La criticità principale è che nessuna barriera artificiale può resistere alle radiazioni nel lungo termine, così l’unica opzione praticabile resta il confinamento delle scorie in un deposito geologico. Seppellire le scorie nelle profondità di conformazioni rocciose geologicamente stabili dovrebbe impedire il contatto con l’ambiente umano. Attualmente, esiste un solo deposito geologico nel mondo e si trova in un giacimento salino nel New Messico a circa 700 metri di profondità. Il WIPP (Waste Isolation Pilot Plant) custodisce rifiuti bellici contaminati da plutonio, ma, essendo un impianto militare, la sua struttura e il suo funzionamento rimangono informazioni confidenziali.

Il dibattito sul nucleare risulta oggi quanto mai cruciale nell’impostazione di un regime di produzione energetica che possa accordarsi in modo coerente ai modelli di transizione ecologica che vengono richiesti in maniera pressante agli Stati. Alla luce di quanto detto, come verrà giudicata l’energia atomica?