Educazione sessuale nelle scuole: la proposta di tre giovani per il Lazio
Educazione sessuale nelle scuole: la proposta di tre giovani per il Lazio

Educazione sessuale nelle scuole: la proposta di tre giovani per il Lazio

Educazione sessuale nelle scuole: la proposta di tre giovani per il Lazio

 L’educazione alla sessualità deve essere riaffermata in un contesto di diritti umani e uguaglianza di genere       

Direttore generale dell’UNESCO Audrey Azoulay.


L’Italia ha un grave problema con l’educazione sessuale. L’ultima dimostrazione, recentissima: sono stati sufficienti alcuni cartelloni pubblicitari (per l’uscita della terza stagione della serie tv Netflix Sex Education) per scatenare un polverone di polemiche. I cartelloni, contenenti la scritta “se la vediamo in forme diverse è perché non ce n’è una sola”, sono stati fortemente criticati, anche dalla politica. Ad esempio, Barbara Mazzali, consigliera della regione Lombardia in quota Fratelli d’Italia ha affermato indignata: «è normale tutto questo? È accettabile che simili poster siano sotto gli occhi di tutti, bambini e ragazzi compresi? L’educazione sessuale deve essere in capo alla famiglia».

Eppure è proprio questa concezione il problema. Secondo l’UNESCO e il suo International technical guidance on sexuality education, il sistema scolastico ricopre un ruolo chiave nell’insegnamento dell’educazione sessuale. La scuola e programmi scolastici ad hoc sono fondamentali, eppure in Italia succede ancora che vi siano ragazzi e ragazze che arrivano alla fine del liceo senza aver mai seguito una lezione di educazione sessuale.

L’Italia non prevede l’insegnamento dell’educazione sessuale come materia obbligatoria: ogni istituto scolastico può decidere se e come affrontare la questione. Il nostro Paese è uno dei pochi rimasti nell’Unione europea; per rendersi conto della gravità, in Olanda l’educazione sessuale e affettiva è prevista fin dalla scuola materna. 

In Italia, invece, l’educazione sessuale viene ancora vista come un tema divisivo, terreno di scontro politico e/o religioso. Ma nel 2021 qualcosa deve cambiare. In questa ottica, tre giovani attivisti, Flavia Restivo, Isabella Borrelli e Andrea Giorgini, hanno promosso una petizione per l’introduzione dell’educazione sessuale, affettiva e alla parità di genere nelle scuole superiori del Lazio.

Domande e risposte

Oltre 25.000 mila persone hanno già firmato questa petizione. Abbiamo avuto l’opportunità di fare delle domande direttamente a coloro che hanno lanciato questa iniziativa, che invitiamo a sostenere


Come è nata l’idea? Cosa vi ha spinto a creare la petizione?

Flavia Restivo:

È nata da un’esigenza comune ampliata e sviluppata durante la campagna elettorale per il Comune di Roma, che ci ha condotti verso un comune obiettivo.

Come mai in Italia l’educazione sessuale è ancora un tabù?

Flavia Restivo:

In Italia l’educazione sessuale è ancora un tabù per un mascherato perbenismo che affonda le sue radici nella cultura patriarcale della chiesa cattolica. La commistione tra Stato e Chiesa non permette un reale passo avanti, dando ampio adito a continui regressi socioculturali.

Andrea Giorgini:

Sono vari i fattori. Sicuramente l’ingerenza della religione cattolica nella morale pubblica è un primo ostacolo a un discorso sulla sessualità privo di pregiudizi. Inoltre, i mass media tradizionali, continuano a promuovere una narrazione tossica dei fatti legati alla questione di genere: non solo il caso della giornalista Greta Beccaglia (molestata fuori da uno stadio in diretta tv) ma pensiamo alla lunga trafila di femminicidi e aggressioni omofobe per cui il discorso si sposta sempre sulla vittima invece che sui carnefici, perdendo l’occasione di aprire un discorso più ampio sui temi dei ruoli di genere, diversità, cultura dello stupro ecc.
Finché di questi temi non si parlerà pubblicamente non si svilupperà mai una coscienza collettiva. C’è bisogno che anche le scuole facciano la loro parte, anche perché una legge o una riforma non sono sufficienti se poi si incontrano ancora resistenze nei gradini più bassi della piramide istituzionale. Ne è un esempio la legge sul diritto all’aborto, che in alcune aree del Paese non è proprio garantito per via di resistenze nel sistema sanitario e amministrativo.

Cosa significa educazione affettiva e in che modo essa si lega all’educazione sessuale?

Isabella Borrelli:

L’educazione affettiva è importantissima per lavorare sulla sfera emotiva di ognuno di noi e su come interagiamo con le altre persone con cui siamo in relazione. Comprende tantissimi aspetti importanti come l’amore per il proprio corpo e conoscere i nostri desideri e la nostra pelle, per esempio, ma anche quali sono i comportamenti tossici e violenti che non dovremmo tollerare da un/una partner. È fondamentale anche per comprendere il ruolo cruciale di dialogo e consenso.

Quali sono i possibili benefici che i giovani e le giovani potrebbero trarre se questa iniziativa venisse approvata?

Andrea Giorgini:

Essendo una proposta pensata per le scuole, sicuramente il nostro obiettivo è quello di fare un passo avanti nella costruzione di una generazione che sappia dialogare di questi temi. L’educazione sessuale, affettiva e di genere ci insegna per l’appunto a dialogare con il nostro corpo e le nostre emozioni, prima di contattare quelle altrui. Nonché ci educa alla diversità, che esiste in quanto tale e non ha bisogno di chissà quale approvazione o “inclusione” da parte della classe dominante.

La nostra idea di educazione ha questa triplice accezione ed è dovuta al fatto che nei rapporti interpersonali si proietta il primo modello dei rapporti gerarchici che governano la cultura dominante. Se fin da bambini ci viene insegnato che nei rapporti uomo-donna il maschio deve essere un freddo, apatico predatore e la donna dev’essere remissiva, subordinata e dedita alla cura; automaticamente, siamo portati a riproiettare questi modelli alle altre sfere della vita: famiglia, lavoro, politica, rapporto con la natura. La cultura patriarcale si nutre di questa disparità di trattamento, generando quelle dinamiche sociali contro cui stiamo faticosamente provando a lottare come nazione: dalla disparità di genere in poi.

In più, oltre ai benefici culturali, io penso ci sia un paradigma che chiunque vuole portare un’innovazione politica è tenuto a considerare. E cioè l’impatto che la tua proposta genera sulla collettività e più in particolare sui settori dove ricade direttamente. Secondo questa visione, la nostra iniziativa è pensata per innovare sia il settore educativo che quello professionale che gravita attorno all’educazione sessuale in Italia.

Nella scuola italiana mancano prima di tutto le figure di riferimento per questa materia: professori di ruolo, psicologi e professionisti dell’educazione primaria. Parallelamente, ci sono altrettanti giovani che si formano e non trovano un’adeguata collocazione lavorativa in questi settori che, secondo l’attuale scenario evolutivo, rischiano la saturazione: psicologi in primis. Questa proposta nasce per dare nuova linfa a queste professioni, molte delle quali non sono ancora nemmeno riconosciute a livello istituzionale: sessuologi, divulgatori, educatori alla sessualità, per citarne alcuni.